Santa Teresa D’Avila: il presepe è dedicato agli antichi mestieri

Fra’ Serafino, pugliese di nascita ma romano d’adozione, ha ricostruito minuziosamente vicoli, stradine, e tipiche locande del passato romano

Al piano alto c’è lo studio: cavalletti sporchi di colore, tavole di legno, barattoli pieni di pennelli, disegni preparatori di affreschi arrotolati vicino alla porta, acquasantiere in ceramica, figurine di presepe, bozzetti per sculture e statue in bronzo. Alle pareti, dipinti di soggetti vari, da nature morte a paesaggi, fino alla collezione di tavolozze dedicate ai maestri De Pisis, Carrà, Guttuso, De Chirico. Al piano inferiore una galleria di quasi duecento presepi e dipinti di soggetto sacro e sale affrescate, calchi in gesso, modelli dei tanti portali realizzati per chiese e santuari.
È Santa Teresa d’Avila, in corso d’Italia, chiesa trasformata in una sorta di museo d’arte contemporanea da fra’ Serafino Melchiorre, pittore e scultore. Nato nel 1932, fra’ Serafino, pugliese di nascita e romano d’adozione, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Allievo di De Pisis oggi è l’artista vivente che ha realizzato il maggior numero di portali in bronzo, da San Rocco a Gioia del Colle alla Basilica Stella Maris a Haifa in Israele. Suo anche il portale di San Giusto a Trieste, che, nel concorso per i progetti, lo ha visto trionfare sullo scultore Emilio Greco. Numerose, ovviamente, le opere romane: il portale di Santa Teresa d’Avila la statua bronzea di San Francesco, che si vede dall’autostrada che va all’aeroporto di Fiumicino, quella di Santa Teresa nel chiostro della Curia Generalizia in corso d’Italia, dove si trova un pannello con angeli, realizzato in maioliche. Da molti, però, fra’ Serafino è conosciuto, soprattutto, per la sua passione per i presepi, che lo ha portato dagli anni Sessanta a oggi a sperimentare tecniche di esecuzione, materiali e ambientazioni differenti. «Ho cominciato dopo la tragedia del Vajont - racconta - quando ho esposto alcune mie creazioni al parcheggio di Villa Borghese per raccogliere offerte per la ricostruzione dei paesi travolti dal crollo della diga. La zona, però, era pericolosa a causa delle auto, perciò, insieme a quelli che sarebbero poi diventati curatori della mostra 100 presepi siamo andati alla ricerca di nuovi spazi. Chiedevano tutti affitti troppo alti, così ho proposto ai sacerdoti di Santa Maria del Popolo, l’uso delle Sale del Bramante, allora in totale abbandono. Ho partecipato alle prime edizioni dell’evento, poi a Santa Teresa mi hanno proposto di esporre da solo, senza che la gente dovesse pagare il biglietto per vedere le opere, in modo da non speculare sulla natività. Così, ogni Natale, organizzo la mia mostra».
Quella di quest’anno, dal 16 dicembre al 15 gennaio, è dedicata agli antichi mestieri romani. Una sorta di sipario si apre sulla ricostruzione di piazza Trilussa, «scelta perché negli ultimi mesi, si è parlato tanto del suo degrado». Ci sono via Giulia, le mura Aureliane, un antico acquedotto, Trastevere, e, tra locande e cantine rubate a incisioni d’epoca, vicoli e stradine con botteghe di fornai, sarti, calzolai, macellai, suonatori di carillon e lustrascarpe.

Ogni opera ne nasconde un’altra: il presepe vero e proprio. «L’idea è portare la gente a cercare la natività e il suo messaggio con attenzione - spiega - Per trovarla bisogna guardare ogni creazione nel dettaglio, attività che per i più piccoli è quasi un gioco».

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