Sbisà e l'orgoglio triestino denso come i versi di Saba

Con Arturo Nathan, Leonor Fini e Guido Marussig un viaggio nell'essenza del capoluogo giuliano

Sbisà e l'orgoglio triestino denso come i versi di Saba

Ho acquistato opere di artisti triestini con l'entusiasmo e la passione di un triestino. Ho amato sopra ogni altro Arturo Nathan, morto in campo di concentramento a Biberach, nel 1944, tanto da concepirne una tra le prime mostre di rilancio venticinque anni fa ad Aosta. Di questo grande e tragico romantico ho trovato soltanto due disegni intensi e solitari, come era la sua natura. Ma le sue angosciose esperienze del mare che sospinge relitti e restituisce sculture affondate, memoria di una storia remota e lontana dall'altra parte dell'Adriatico, sono indimenticabili, in una serie di vedute tra le più metafisiche e struggenti della pittura italiana, trasferendo De Chirico dalla vasta pianura padana al mare sconfinato, davanti al quale medita un uomo solitario e apparentemente imperturbato. Nel suo cuore risuonano i versi di Carlo Michelstaedter, goriziano: «Onda per onda batte sullo scoglio/ - passan le vele bianche all'orizzonte;/ monta rimonta, or dolce or tempestosa/ l'agitata marea senza riposo./ Ma onda e sole e vento e vele e scogli,/ questa è la terra, quello l'orizzonte/ del mar lontano, il mar senza confini./ Non è il libero mare senza sponde,/ il mare dove l'onda non arriva,/ il mare che da sé genera il vento,/ manda la luce e in seno la riprende,/ il mar che di sua vita mille vite/ suscita e cresce in una sola vita./ Ahi, non c'è mare cui presso o lontano/ varia sponda non gravi, e vario vento/ non tolga dalla solitaria pace,/ mare non è che non sia un dei mari./ Anche il mare è un deserto senza vita,/ arido triste fermo affaticato (...)/ Al mio sole, al mio mar per queste strade/ della terra o del mar mi volgo invano,/ vana è la pena e vana la speranza,/ tutta è la vita arida e deserta...».

Questa condivisa emozione del mare di Trieste, sul molo Audace, trasmette la meditazione solitaria di Nathan, in una struggente Sehnsucht. Di uomini, di eroi, di soldati, in amicizia cameratesca, si interessa, con slancio cordiale e sincero, il pittore più placido e sereno, non solo tra i triestini, interprete di una condizione emotiva calda e carica di umana dolcezza, di sentimenti puri, senza drammi e turbamenti, al limite di un non attinto realismo magico: Carlo Sbisà. Se rari sono stati gli incontri con Nathan, più frequenti e soddisfacenti quelli con Sbisà, altrettanto amato, e di cui ho trovato l'intero ciclo di cartoni per gli affreschi monumentali sulla prima guerra mondiale del museo del Risorgimento, che non avrei mai pensato di vedere esposti per le loro dimensioni, con la mirabile serie di città della Venezia Giulia e dell'Istria, personificate in donne bellissime e un po' ombrose, distanti. Ora, a Trieste, dominano lo spazio basilicale del Salone degli Incanti nell'allestimento di Barbara Fornasir. Quelle stesse donne, in dimensione domestica, le ritrovi in Passauro, in Croatto, e anche nella essenza femminile di Leonor Fini quando dipinge l'anima di un principe arabo, con una travolgente distanza dalla carne e dal rumore del mondo, languido e femmineo. Ho incrociato la bellezza preraffaelita, a Trieste come mai altrove, in Oscar Hermann Lamb. Ho sentito, prima di Munch, il grido strozzato in riso beffardo di Veruda. Ho visto il sole allontanarsi, nel vortice di un'alba tormentata, in Guido Marussig. E mi ha fatto sentire la tensione della forma che esce dalla materia l'esperienza michelangiolesca del dimenticato Asco, dalle origini simboliste negli anni Venti alla resistenza finale contro l'astrazione, nel 1949, l'anno del primo taglio di Fontana. E poi, ho sentito la vita nelle terrecotte e nei bronzi di Attilio Selva, lo scultore poeta, trepido e sensibile, davanti alla giovinezza di una mula fiera, o alla adolescenza di un ragazzo scamiciato... Proprio come Trieste nei versi di Umberto Saba: «Trieste ha una scontrosa/ grazia.

Se piace,/ è come un ragazzaccio aspro e vorace,/ con gli occhi azzurri e mani troppo grandi/ per regalare un fiore; /come un amore/ con gelosia». Così, oggi, finalmente, entro anch'io e mi muovo, come a casa nelle mie stanze triestine.

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