Lo sciopero dei negri fa nera la sinistra

Sciopero vietato ai negri. Questo titolo magari è velenoso e cafone. Magari hanno ragione loro. Ha ragione il Manifesto. Ha ragione Liberazione. Hanno ragione i terzomondisti e i benpensanti e tutto l’esercito di dotti, medici e sapienti. Hanno ragione tutti. Ma almeno una cosa hanno dovuto ammetterla. Quel titolo maledetto a qualcosa è servito. All’improvviso il sindacato è nudo. E a quanto pare l’hanno visto tutti.
Questa è una storia bastarda, di silenzi e ipocrisie. Tutto comincia con l’idea di fare come in Francia. Un gruppo su Facebook chiede agli immigrati di incrociare le braccia per ventiquattro ore. Il giorno? Il primo marzo. Tutti fermi e vediamo cosa accade in Italia. Cgil, Cisl e Uil si tirano indietro, boicottano, tergiversano. Non ci stanno. Il Giornale racconta e scrive. Niente di straordinario. Certe storie nel sottobosco dei forum sindacali, di una certa sinistra, di molti quotidiani, circolavano da tempo, più o meno a bassa voce. Solo che erano chiacchiere in famiglia, come certi panni che è meglio non mostrare in pubblico. Il Giornale ha parlato di qualcosa che a sinistra molti sapevano, ma non volevano vedere. Ossia: il sindacato non sa come gestire la questione immigrati. È imbarazzato. Il motivo è semplice. Lo sciopero degli immigrati rischia di irritare una parte degli operai, dei disoccupati, dei cassaintegrati, dei precari, che - a Nord come a Sud - vede lo straniero come un nemico, un usurpatore, uno che viene qui a rubargli il posto. I sindacati non vogliono scontentare i loro iscritti storici. Come hanno scritto e detto: «Non capirebbero». Meglio fare uno sciopero generale, simbolico, tutti insieme: italiani e stranieri.
È quello che Il Giornale ha raccontato. E sui giornali politicamente corretti è iniziato il dibattito. Sì, è vero. Il problema esiste. Il nervo è scoperto. I senatori del Pd hanno scritto una lettera: caro Epifani, ci ripensi. Non possiamo lasciare da soli i poveri immigrati. Il guaio è che ne ha parlato questo giornale. Un giornale razzista, volgare, bieco, velenoso, grossolano, ipocrita, vergognoso. Il giornale che li chiama negri. Pensateci. E se questo fosse solo un modo per farvi vedere ciò che non volete vedere?
Guardiamoci in faccia. Questo sciopero serve a far capire a tutti che il lavoro degli immigrati è utile e nobile? Ottimo. È proprio così ed è bene che tutti lo capiscano. Un giorno senza badanti e camerieri, panettieri e garzoni, macellatori di polli, senza parroci e infermieri, senza colf e operai delle fonderie vale più di tante chiacchiere da salotti tv. Se questo sciopero serve a mettersi una stella gialla, a sentirsi equi e solidali e a gridare contro la dittatura di un governo razzista è la solita pagliacciata. È una gita fuori porta. È la piazza contro la democrazia. È la rabbia di chi non vuole Berlusconi al governo. Non serve agli immigrati. Non serve all’antirazzismo. È retorica politica.
Il lavoro degli immigrati è sacro. Il diritto di sciopero è sacro. Quello che non è sacro è legittimare i clandestini. Il problema è sempre lo stesso. L’integrazione c’è solo se l’immigrazione non è selvaggia. Altrimenti, come sanno i sindacalisti, troppi italiani diventano xenofobi. La guerra tra poveri è il primo passo verso il razzismo. Ma se lo dici sei razzista. Amen.
Una postilla. Quello che fa schifo è questa puzza d’affari. Ci sono due comitati che sponsorizzano la giornata senza migranti: «primo marzo» e «Blacks Out». Del secondo fanno parte Migrantes, Radicali, Cgil, Uil e Ugl. Francesco Costa, giornalista dell’Unità, sul suo blog racconta: «Perché il sindacato vuole fare una manifestazione classica il 20 marzo e non uno sciopero degli immigrati il primo? Il 20 marzo è sabato ed è più facile riempire le piazze (di immigrati? boh).

La seconda ragione sta nel gioco di sponda con un’associazione che si chiama Blacks out, dal titolo di un libro di Vladimiro Polchi, giornalista di Repubblica. Il romanzo racconta uno sciopero dei migranti che si tiene proprio il 20 marzo. È casuale?». D’accordo. Sembra fantasindacalismo. Ma lo scrive un blogger dell’Unità e i panni sporchi, si sa, si lavano in famiglia.

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