Damasco - La protesta in Siria non si placa. Anzi, partita da Daraa, si estende in tutto il Paese. Oggi, dopo la sanguinosa repressione di ieri che ha provocato oltre 30 morti, altre manifestazioni sono organizzate tramite il gruppo Facebook The Syrian Revolution 2011, che incita a scendere in piazza. A Daraa, durante un funerale, migliaia di persone hanno preso d’assalto e dato alle fiamme un edificio del partito Baath e una stazione di polizia. Intanto il governo ha provato a calmare gli animi rilasciando oltre 200 detenuti politici, in gran parte attivisti islamici, dopo aver fatto firmare loro una domanda di grazia. Nel pomeriggio, Assad ha anche chiesto alle truppe di lasciare il centro della città nel tentativo di riappacificarsi con i manifestanti.
La polizia spara sulla folla Manifestazioni contro il regime di Bashar al Assad si sono svolte oggi anche nella città di Latakia, sulla costa siriana. Qui decine di persone sono scese in piazza e poi alcuni di loro hanno hanno attaccato gli uffici del partito Baath, dandogli fuoco. Un attivista in contatto con i manifestanti di Latakia ha detto che in centinaia stanno bruciando pneumatici e attaccando automobili e negozi. Gli spari dei cecchini, inoltre, hanno fatto sette vittime e ferito sette persone nella città di Latakia, sulla costa siriana.
Ue: "Cessi la repressione" In una settimana di rivolte la polizia ha spesso sparato sulla folla. Le stime ufficiali parlano di 55 morti in sette giorni, ma secondo fonti mediche le vittime sarebbero 150. Una forte condanna alla "brutale repressione" e al "totalmente inaccettabile uso della violenza" viene dall’Alto rappresentante per la politica Estera dell’Ue, Catherine Ashton in una nota in cui chiede "l’abbandono dello stato di emergenza" e la "liberazione immediata dei difensori dei diritti umani e dei prigionieri politici". Ashton invita quindi al rispetto "dei diritti umani e delle libertà fondamentali".
La protesta Le manifestazioni sono iniziate nella città di Daraa, a sud, ormai diventata simbolo della protesta. Intorno alla moschea Omari da oltre una settimana sono accampati centinaia di manifestanti che vogliono la fine del regime baathista della famiglia Al-Assad, da oltre 40 anni al potere. Moschea assaltata nella notte di mercoledì con un bilancio imprecisato di morti. La città e da oltre tre giorni isolata dal resto del Paese con un cordone di sicurezza e posti blocco che controllano chiunque voglia entrare o uscire. Ieri, a Sanamein, un sobborgo a metà strada tra Daraa e Damasco, le forze di sicurezza hanno ucciso almeno 20 persone, aprendo il fuoco contro i manifestanti che tentavano di raggiungere il centro per unirsi alle proteste.
Le riforme Per sedare la rivolta, il governo ha promesso invano riforme come la revoca in tempi brevi dello stato di emergenza che risale al 1963, la messa in campo di meccanismi "efficaci" per lottare contro la corruzione, una legge che renderebbe possibile la nascita di partiti politici, e l’instaurazione di una commissione di inchiesta sui fatti di Daraa. Il paese alleato del regime sciita iraniano contro l’occidente e Israele, la Siria di Assad si trova nel cuore di una complessa rete di relazioni in Medio Oriente, vive la sua più grave crisi politica dal 1982 dove a Hama, nel centro del Paese, il vecchio Assad represse nel sangue, con migliaia di vittime, una rivolta islamista sunnita.
Preoccupata l'Italia La Farnesina "è fortemente preoccupata per l’escalation di violenza e segue da vicino, insieme ai partner europei, la situazione, condannando ogni forma di violenza".
Il portavoce del Ministero degli Esteri, Maurizio Massari, auspica "la cessazione delle repressioni violente delle manifestazioni" e l’adozione da parte del governo di Damasco delle riforme annunciate e attese dalla popolazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.