Venezia - «Ang Lee? Un presidente incredibilmente democratico. Non ha mai cercato di imporre le proprie preferenze agli altri giurati», assicura il direttore Marco Müller. È domenica mattina. Fuori, nel viavai dei camion, gli operai stanno smontando la Mostra pezzo pezzo. Sono rimasti solo lui, il presidente della Biennale, Paolo Baratta, e una pattuglia di giornalisti. C’è da capire se davvero Baarìa di Tornatore, dato per favorito dal chiacchiericcio della vigilia ma snobbato dal palmarès finale, sia stato a un passo dal prendere un premio importante. Sabato notte alla festa al Des Bains, un po’ controvoglia, dopo che i giurati italiani Liliana Cavani e Luciano Ligabue s’erano defilati alla grande, Ang Lee aveva spiegato così la faccenda: «Baarìa è una grande produzione, anche una scommessa. Mi è piaciuto, avrei voluto un premio per lui, sono certo che riceverà altri riconoscimenti in futuro». Per la serie: signori, io ci ho provato, che posso farci se gli altri non mi hanno seguito? Evidentemente ai giurati italiani non era piaciuto. E non sarà, magari, che l’entusiasmo del premier ha finito per danneggiare il film stesso?
Il direttore della Mostra conferma: «Dopo l’inaugurazione, Ang Lee mi disse di aver molto amato il film. Come me, del resto, che l’ho scelto per inaugurare. A questo punto la domanda andrebbe girata ai sei giurati. Evidentemente non l’hanno così amato». Medusa non polemizza. L’amministratore delegato Giampaolo Letta esibisce un certo aplomb. «Siamo dispiaciuti, è stato un atto di coraggio, da parte di Tornatore, accettare la sfida del concorso. Poi, ovviamente, si accettano i verdetti delle giurie, ma un po’ di rispetto in più non avrebbe guastato».
Non bastasse, un secondo «caso» agita le acque del dopo festival. Riguarda l’americano Life during wartime del sulfureo Todd Solondz. Il presidente della giuria rivela che era tra i suoi film preferiti, per stile e originalità, meritevole quindi di un posto al sole, magari quel Premio speciale della giuria poi andato alla commedia turco-tedesca Soul Kitchen. Invece Solondz s’è dovuto accontentare dell’Osella per la migliore sceneggiatura. Il regista, nel dichiararsi comunque un uomo felice, non ne fa un dramma, ma la distributrice italiana Vania Traxler sì, avendo acquistato il film a un prezzo piuttosto salato, tre giorni fa, nella prospettiva del Leone d’oro o giù di lì.
In pratica la signora ipotizza che Life during wartime sia stato derubricato, in extremis, per via di non meglio identificate pressioni sulla giuria, magari per favorire la concorrente Bim, uscita trionfante con tre premi su tre film. La giurata Sandrine Bonnaire assicura che no, il verdetto è sempre rimasto quello, sin da venerdì pomeriggio. Ma la querelle rimbalza nei taccuini dei cronisti, e ieri mattina Müller, un po’ infastidito, liquida così la questione: «Non mi risulta che la Traxer fosse in giuria. Certo, il presidente Ang Lee aveva le sue preferenze. So che gli sono piaciuti White material, Lourdes, naturalmente Life during wartime. E tuttavia, strada facendo, alcuni di essi sono stati spinti fuori dalla rosa ideale. Solondz no, è stato difeso, infatti ha ricevuto un’Osella». A proposito di Oselle. Temendo che il premio, ispirato alla gloriosa moneta veneziana, risulti un po’ svalutato nella considerazione dei critici, Baratta annuncia che dall’anno prossimo cambierà nome. Così non sembrerà più un contentino.
Di sicuro Ang Lee, Leone d’oro qui a Venezia nel 2005 con I segreti di Brokeback Mountain e nel 2007 con Lussuria, è apparso un presidente di giuria talmente rispettoso dei colleghi da faticare a imporre una sua visione. A parte il Leone d’oro all’israeliano Lebanon, sul quale s’è trovata «subito l’unanimità», tutti gli altri allori sono stati attribuiti a maggioranza. Il confronto sarà stato «ragionevole e civile», ma il compromesso alquanto tribolato. Altrimenti perché chiedere a Müller, pur sapendo che lo statuto non ammette deroghe, di aumentare il numero dei premi a disposizione? We did our best, abbiamo fatto del nostro meglio, sussurra il presidente con orientale soavità, confessando di aver molto sofferto nel giudicare il lavoro dei suoi colleghi. Poteva non accettare.
Quanto al capitolo Italia, c’è poco da dire. Saltato il premio a Baarìa per le ragioni sopra spiegate, restano i riconoscimenti alle due attrici: la russa (ormai di casa) Ksenia Rappoport per La doppia ora e Jasmine Trinca (fatta passare da «emergente») per Il grande sogno.
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