Riflessioni tragicomiche di una sessantenne sullorlo di una crisi di nervi. Filtrato attraverso la lente dellautoironia («lasciatemi almeno quella», implora lattrice) Facce di bronzo, il ventiduesimo spettacolo di Grazia Scuccimarra in scena al teatro dei Satiri fino al 25 febbraio, è un divertente viaggio nei malesseri del nostro tempo che prende di mira, tra senso d'impotenza e frustrazione, gli autori delle peggiori malefatte, impermeabili al richiamo della coscienza. Dal sociale alla politica (in scena cè un fantoccio intento a scrivere impossibili riforme), dalle dinamiche familiari ai rapporti uomo-donna («lui parla al condizionale, lei al presente indicativo» dice dopo aver cantato «Io per lei» dei Camaleonti) la Scuccimarra accende le polveri di un umorismo intelligente e raffinato in un fuoco di fila di battute e provocazioni che sconfina nella nostalgia dellutopia.
Linvadenza pubblicitaria e le parolacce liberatorie (esilarante il mandarsi a quel paese in un saporito confronto romano-abruzzese), i congiuntivi per sentito dire e i telefilm americani, le stagioni della donna e lutero retroverso, lossessione del sesso e la chirurgia plastica («io mi tengo il mio seno rilassato, è lunica parte tranquilla del mio corpo»), Babbo Natale («avete visto che fine ha fatto? È costretto ad arrampicarsi sui balconi come un ladro dappartamenti!») e i comici di Zelig («i nomi? Non si sanno, si conoscono solo per i tormentoni»), ansie da casalinga («se muoio lascio cucinato per una settimana») e voglia di normalità («oggi la parola dordine è oscurare»).
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