Se la famiglia è un gioco crudele

Il duo Maniaci-D'Amore porta in scena nei luoghi più strani «Il nostro amore schifo»

Se la famiglia è un gioco crudele

Adesso sono in scena in mezza Italia tra teatri, appartamenti e luoghi che più impensati non si può dove, con la massima semplicità come se si trattasse di un gioco a rimpiattino tra amici d'infanzia, allestiscono il loro ultimo spettacolo che provocatoriamente si intitola Il nostro amore schifo. Un ammonimento che è tutto un programma o meglio, come spiegano loro stessi, «un'appassionata cavalcata sul sentimento più pericoloso che esista». Ossia l'attrazione che porta due esseri umani a codificare nei loro corpi e nelle loro reciproche ossessioni il concetto di famiglia.

Loro sono due ventisettenni di nome Luciana Maniaci e Francesco d'Amore che da cinque anni scrivono insieme i copioni, li declamano fino allo spasimo per trovare la parola giusta, la corretta inclinazione del capo, l'esatta posizione della glottide per pronunciare, dissacrare, triturare, macinare e infine esplodere tra la tenerezza e il grido sul luogo deputato di sempre: il palcoscenico. Fino a pochi giorni fa, sulla minuscola scena del milanese Teatro Libero, lei come una gazzella salta su una seggiolina che ricorda i balzi di Alice inseguita dal Cappellaio Matto nel capolavoro di Lewis Carroll mentre lui, in giacchetta inamidata come si addice a un piccolo gentleman ne contiene (ma solo in apparenza) l'inarrestabile brio parafrasando gli inizi dell'intima conoscenza che li porterà a fondare una coppia.

Che ahi noi e ahi loro li condurrà in un lieve (ma terribile) gioco al massacro attraverso gli stadi obbligati che va dalla giovinezza fino all'inesorabile approdo alla vecchiaia. Servendosi dei minimi gesti d'obbligo coi quali tutti noi cominciamo a dialogare con lo sconosciuto che ci troviamo di fronte, in quello smarrimento dell'identità che confina con l'astrazione, si accende nei primi bagliori della conoscenza, giocosamente si blocca nella convivenza. E infine viene sorpreso dagli anni che soavemente li colgono impreparati, come se all'improvviso fossero sommersi dal turbinio di una tempesta di neve.

Appaiono più teneri e indifesi di un clown, anche se non fanno nessuna mossa che li possa apparentare a Marcel Marceau o alla sua deliziosa epigona Nola Rae. Ma possono sembrare più crudeli e intransigenti di una spada quando, con uno sfarfallio delle mani o una minima torsione del capo, sfoderano un sorriso. Che è naturalmente maniaco.

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