«Se la forza europea sarà questa resteremo con il cerino in mano»

L’ex comandante Nato in Kosovo: «La Francia non può tirarsi indietro, ma i tedeschi e gli spagnoli?»

Fausto Biloslavo

Il generale Fabio Mini, da buon bersagliere, non ha peli sulla lingua e parla chiaramente dei rischi della nuova missione italiana in Libano. Comandante della Nato in Kosovo, addetto militare in Cina e capo delle forze alleate nel sud Europa è diventato autore di interventi su temi della Difesa con la penna acuminata, dopo aver appeso la divisa al chiodo.
Quali sono i rischi maggiori dell’imminente missione in Libano? «A parte essere presi fra due fuochi, il rischio fondamentale è che la scarsa credibilità di Unifil (le truppe dell’Onu in Libano dal 1978 nda), che andiamo ad ampliare, si riversi sulla nuova missione. Avevamo bisogno di un credito di prestigio, che sarebbe stato possibile con una “coalizione di volenterosi” o sotto il comando Nato scartato per motivi politici».
Quali consigli darebbe sulla sicurezza a chi comanderà la nuova missione italiana in Libano?
«Innanzi tutto di essere determinato ed imparziale. Se si propende per un parte o per l’altra è veramente la fine. Poi bisogna fare il proprio mestiere. Andare in questi posti e chiudersi in fortezze Bastiani “fregandosene” di quello che succede all’esterno rappresenta il sistema migliore per venire screditati e diventare degli obiettivi».
Il ministro degli Esteri Massimo D’Alema a braccetto con un parlamentare di Hezbollah fra le macerie di Beirut sud, bombardata dagli israeliani, ha sollevato polemiche. Serve per tenere fuori dai guai i nostri soldati?
«Non penso che sia stata una cosa voluta, perché altrimenti sarebbe veramente ingenua. In Medio Oriente capita che ricorrano a questi trucchetti per farsi accreditare. Se invece si volesse veramente portare avanti l’appeasement (distensione a prezzo di concessioni), il volersi bene con una parte per evitare guai ai nostri soldati è un genere di atteggiamento che delegittima le forze sul terreno e le pone in grave pericolo».
Se riprendessero le ostilità pensa che una forza internazionale di 15mila uomini possa fare qualcosa?
«Sì, l’obiettivo, il target, ovvero farsi sparare addosso. Il presupposto dell’intervento in Libano è che le ostilità non riprendano. Bisogna andarci, ma teniamo conto che è una missione molto rischiosa e che un’altra guerra porterebbe alla destabilizzazione del Medio Oriente».
La Francia bluffa dicendo che invierà pochi uomini o rischiamo di restare con il cerino in mano?
«È un rischio realistico restare con il cerino in mano. Dipenderà da quante e quali nazioni forniranno truppe ad Unifil. La Francia non può tirarsi indietro, però bisogna chiedersi chi sono gli altri? Noi ci siamo con un massimo di tremila uomini, ma i tedeschi e gli spagnoli? Se non si fanno avanti le nazioni che contano in ambito europeo viene fuori una forza senza alcuna identità come è adesso Unifil».
Sembra che non dovremo disarmare Hezbollah, ma aiutare l’esercito libanese a farlo. È un’ipotesi realistica?
«È realistico non tanto che l’esercito libanese disarmi Hezbollah, ma lo incorpori. Comunque bisognerà fare attenzione al Partito di Dio. Adesso sembra riscuotere molto credito, ma se alla fine non otterrà quanto auspica (politicamente) allora può darsi che tenti di destabilizzare il Libano. Quindi si tornerebbe alle azioni terroristiche stile 1982, alle incursioni oltre confine e alle ritorsioni israeliane che ci vedrebbero in mezzo».


Le frange ultra pacifiste della maggioranza possono condannare il nostro contingente ad operare con una mano legata?
«Se accadrà una cosa del genere si capirà subito dalle regole di ingaggio. In questo caso bisogna che ci sia della gente con degli attributi in grado di dire che a queste condizioni non si va da nessuno parte».

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