E se fossero proprio gli stranieri i migliori paladini dellitalianità? E se toccasse proprio ai non nati nella Penisola lonere e lonore di indicare alla piccola ma insopportabile tribuna degli italiani anti-italiani il senso dello straordinario patrimonio sotto i loro occhi che non vedono?
Fanno tenerezza gli appelli destri e sinistri a salvare Telecom dai lanzichenecchi in arrivo dallAmerica (o dal Messico: porteranno pure il sombrero, vuoi vedere?). Un Paese, lAmerica, che è diventata la prima potenza del mondo anche grazie allapporto dei venticinque milioni di cittadini dorigine italiana. Ma se i padri di questi oriundi anziché sognare con la forza della disperazione fossero rimasti a casa, in pantofole, sarebbero diventati almeno in parte come quei musoni al vertice della nostra nazione. Sono dei musoni che, soprattutto quando facevano gli oppositori, passavano le giornate ad annunciare il declino italiano, compiacendosene. Salvo poi saltare sul carro, quando si scopre che la Fiat vola in Europa, e la Ferrari nel mondo, e il vino italiano negli Stati Uniti, e la moda italiana a Parigi, e il cibo italiano in Australia, e larte di Leonardo in Giappone.
Ma della classe dirigente fanno parte anche gli intellettuali che dovrebbero stimolare la cultura millenaria di cui sono eredi, spesso loro malgrado: quanto si divertono, costoro, a dir male, a dire il peggio possibile della propria memoria antica o vicina, secondo un tipico approccio del provincialismo che mai si è misurato con la storia degli altri. Ché, se lavesse fatto, avrebbe scoperto quanto vasto, e profondo, e apprezzato sia il segno italiano nel pianeta. La notte calcistica di Berlino il mondo si divise in due: quelli che tenevano per la Francia, cioè i francesi, e il resto delluniverso intero che in gran parte tifava per gli azzurri. Per forza, erano tutti stranieri, e dunque simpatizzavano con naturalezza, non avevano il complesso dello sputare sul piatto di spaghetti che tanto affligge certi insipidi italiani dItalia.
E così tocca agli intellettuali stranieri, tocca ai loro libri e alle loro opinioni sui loro giornali, raccontare quanto sia bella questa italianità che non viene solo dal Rinascimento; posto che anche una partita di pallone, con tutto quel che evoca, è a suo modo un moderno avvenimento della cultura non solo sportiva di un popolo. E tocca agli italianisti esteri battersi per dare respiro internazionale alla lingua italiana. Dipendesse dalla nostra politica, e purtroppo dipende, la Fao a Roma continuerebbe a ignorare, come fa, luso ufficiale dellitaliano nei suoi atti formali (a Roma!); e ministri degli Esteri rigorosamente nati in Italia davanti alla platea delle Nazioni Unite continuerebbero a rivolgersi in inglese o in francese, come hanno fatto. Peraltro con una pronuncia e un lessico pietosi e impietosi.
Sono certi italiani a dire, maccheronicamente, Sudtirolo: gli austriaci che parlano italiano, lo chiamano Alto Adige. È il Corrierone della sera ad avere, da anni, lincolore bandiera europea sotto la testata in prima pagina. Se fosse uno straniero a dirigere quel giornale secolare di Milano, avrebbe già messo il Tricolore. Che, tra laltro, è più elegante.
Sono italiani dItalia a dibattere da anni se il Nabucco possa o no prendere il posto assegnato a Mameli. Invece gli atleti italiani dorigine straniera lo cantano e basta, quando vincono. Perché capiscono che fare le pulci alla mamma, anzi, a papà-Mameli è il rifugio della frustrazione (o dei bontemponi): bello o brutto, è il nostro inno. Sono certi italiani dItalia, ogni volta che saccaniscono contro la propria identità, a usare lespressione fare una cosa allitaliana come sottinteso di approssimazione. Allestero, fare una cosa allitaliana per molti significa farla, allopposto, con talento. E a proposito di estero: pochi Papi italiani hanno dato prova di apprezzare la lingua italiana quanto il polacco Karol Wojtyla e il tedesco Joseph Ratzinger.
Sono certi italiani dItalia a rovistare nelle fogne della storia - come diceva Montanelli - per sperare in qualunque cosa possa scalfire limmagine di italiani, brava gente. Gli stranieri, più avveduti, sanno che gli italiani non sono né migliori né peggiori degli altri. Sanno, però, che sono diversi: brava gente. E allora litalianità cerchiamola in quanti vengono da fuori, siano essi il dirigente dazienda del profondo Nord del pianeta o lultimo disperato che sbarca dallo sfortunato Sud.
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