È politicamente saggia, intellettualmente onesta e storicamente responsabile la decisione del leader Berlusconi di sciogliere i parlamentari azzurri dai vincoli sui Pacs e le coppie di fatto anteponendo su un tema etico controverso la scelta individuale fondata sulla libertà di coscienza alla disciplina di partito. Del resto la Costituzione all'articolo 67 recita che «Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato»: un imperativo che vale tanto più quando non sono in gioco equilibri istituzionali che derivano dal voto degli elettori.
Non spetta a me entrare nel dibattito interno di partito: esprimo solo una libera opinione quale commentatore de il Giornale. Forza Italia è una formazione composita di conservatori e riformatori, moderati e reazionari, credenti e non credenti, laici e clericali, tenuta insieme dalla forte leadership del fondatore. Un siffatto partito, espressione del bipolarismo, può rimanere unito solo sulla base di una convivenza liberale che rispetta, soprattutto sui temi etici, i valori delle varie componenti ideali oltre che politiche, senza che alcuna di esse imponga esclusivismi e proibizionismi. È perciò che l'indicazione berlusconiana sui Pacs riafferma quel metodo liberale attento al pluralismo delle sensibilità che è proprio di un partito di raccolta del centrodestra.
La vecchia Democrazia cristiana, che pure era il referente diretto della Chiesa quale partito unico dei cattolici, seppe prima con il più alto e autorevole dei suoi esponenti, Alcide De Gasperi, difendere l'autonomia della politica dalle pressanti richieste del Vaticano di Pio XII, e poi, negli anni Sessanta e Settanta, trovò la forza e l'avvedutezza di dare il via libera, pur nell'opposizione parlamentare, alle grandi riforme civili del divorzio e dell'aborto che avvicinarono l'Italia all'Europa.
Certo, so bene che in Forza Italia sono presenti, sia tra i parlamentari che tra gli elettori, tendenze e gruppi che non è fuori luogo definire neotradizionalisti e clericali i quali mordono il freno per imporre con la forza delle leggi i loro valori a tutta la comunità nazionale. Oggi chiedono, ad esempio, di non legiferare sui Pacs assumendosi in maniera letterale le singolari prescrizioni politiche delle alte gerarchie ecclesiastiche che vanno ben al di là delle indicazioni pastorali.
Sarebbe però politicamente miope se tali pulsioni, del tutto legittime ma poco lungimiranti, prevalessero trasformando un partito che dovrebbe essere «aperto» e «pluralistico» in braccio politico integralista non della comunità dei credenti ma della Chiesa ufficiale. E sarebbe altrettanto imprevidente se su una questione così semplice come la regolamentazione delle unioni di fatto, omosessuali ed eterosessuali, si esercitassero ragionamenti capziosi che annebbiano piuttosto che illuminare il punto centrale che è la tutela dei soggetti più deboli come nel caso delle legislazioni europee.
Lasciando stare la pretestuosa evocazione dei matrimoni gay e delle adozioni da parte delle coppie omosessuali che nessuno in Italia propone, gli oppositori alla legiferazione sui Pacs e gli azzeccagarbugli dei distinguo nominalistici dovrebbero interrogarsi come mai nei Paesi sviluppati d'Europa - Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Lussemburgo, Olanda, Belgio, Portogallo, Svizzera, Croazia, oltre che nei quattro Paesi scandinavi - sono state ovunque approvate leggi sui Pacs ad opera di maggioranze sia di destra che di sinistra.
Avere lasciato la libertà di coscienza sui temi etici da parte del leader politico Berlusconi, indipendentemente dai suoi orientamenti personali, è stato un atto che non può che rafforzare la pace religiosa, la convivenza civile e la crescita etica del nostro Paese già così travagliato da tanti altri conflitti. Ci pensino i militanti del centrodestra che vogliono indossare l'elmetto e partire per crociate che non si addicono a una forza che vuole essere liberale.
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