Senza Titolo, l'arte di Domburg in mostra a Milano

“Senza titolo” è la sua personale alla Galleria Paolo Curti/Annamaria Gambuzzi&Co di via Pontaccio 19 dal 14 dicembre sino all'11 marzo

Senza Titolo, l'arte di Domburg in mostra a Milano

Si può ritrarre una città come se fosse un essere umano? La scommessa di Bart Domburg è tutta qui, semplice eppure complessa nella sua ispirazione, difficile eppure affascinante nella sua realizzazione. “Senza titolo” si chiama la sua personale alla Galleria Paolo Curti/Annamaria Gambuzzi&Co di via Pontaccio 19 (dal 14 dicembre sino all'11 marzo, dal lunedì al venerdì, 11-19, sabato su appuntamento) e presenta otto tele di grande formato di questo cinquantenne artista olandese. In esse, attraverso una pittura di matrice iperrealista, dove si mescolano ricordi della propria vita e storie che fanno parte dell’immaginario collettivo, l’artista propone un viaggio del tutto particolare intorno al paesaggio. Nelle sue tele, Domburg punta il suo occhio sull’iconografia dell’architettura nel contesto urbano e privilegia porzioni di facciate, agglomerati di finestre che, grazie a un gioco sapiente di linee verticali e orizzontali, concorrono a creare un’atmosfera glaciale e come disumanizzata, in uno scenario che è spesso al confine fra astrazione e realtà, concretezza e illusione. L’uso dei colori aggiunge al tutto un ulteriore effetto di irrealtà e di disfacimento: il bianco, il grigio, il lattescente, il fumoso, in pratica tutte le gradazioni delle nebbie, rimandano alla anonimia di scenografie disabitate, una specie di fine del mondo dove sono rimaste in piedi le vestigia di una civiltà,ma non c’è più chi la creò. Quella di Domburg è una riflessione sull’uomo moderno e sugli spazi in cui vive: la densificazione delle città porta a una costruzione diversa dei moduli abitativi e lo sfruttamento necessario degli spazi va di pari passo con una sorta di riduzione sociale dell’individuo, sempre meno signore delle cose e sempre più costretto a venire a patti con le cose da lui stesso create. Questi ritratti urbani sono il frutto di un lungo percorso. Per molti anni, Bart Domburg ha dipinto ritratti di persone comuni, spesso ridotti a solo dettalgi del viso, primi piani, ingrandimenti di particolari, in modo da espandere la possibilità di ricerca del ritratto tradizionale. Una decina di anni fa, dopo essersi trasferito a Berlino, città dove comunque aveva trascorso parte della sua infanzia, Domburg è passato a fare una ritrattistica di luoghi specifici, aventi cioè un particolare significato storico, religioso, personale. Sotto questo profilo, Berlino, specie la zona est della capitale tedesca, si è rivelata un soggetto ricchissimo, perché gonfia di realtà storiche drammatiche che la modernità ha successivamente modificato di significato ma non è riuscita a svuotare di senso. Così, il ritratto “Postdam, Ernst Thalmann Stadion” è la veduta di una vecchia rovina del celebre stadio di Berlino Est, oggi ridotto a parcheggio per un hotel, e il dipinto “Garten Haus der Wannnsee-Konferenz”, nel raffigurare il bellissimo giardino di una villa rimanda al celebre luogo di incontro delle gerarchie naziste in cui si decise la tragica sorte degli ebrei europei. Sotto un profilo più personale, il quadro “Zwolle, Park Eekhout” rappresenta il luogo di giochi della sua infanzia e qui il contrasto fra ciò che è stato e ciò che è assume un valore del tutto intimo e privato.

Bart Domburg ha esposto al Daad di Berlino nel 1998, alla Kunsthaus di Basilea, all’italiano Premio Michetti, al Central Museum di Utrecht ed è presente in molte collezioni prestigiose. La Maramotti di Reggio Emilia, la Lieu d’art Contemporain di Francia, lo Stedelijk Museum di Amsterdam.

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