Separare Sandra e Raimondo? Sarebbe un brutto sketch

Sembra che l’ultima battuta sia spettata a lei. A lei che tra loro ha provveduto a mettere cinque mesi... e l’eternità. L’unica consolazione con cui l’Italia ha detto addio a Sandra Mondaini, ieri mattina, è stata la sensazione, un po’ retorica ma inevitabile, che la morte fosse il rammendo a uno strappo. Lo sporco «mezzo» per far giustizia, il rimedio a un male persino peggiore: la separazione. Che tra quei due, la Mondaini e suo marito Raimondo Vianello (scomparso lo scorso 15 aprile), era talmente innaturale, da auspicare qualsiasi cosa pur di annullarla. La morte di lui è stata «più lutto» di quella di lei, perché c’era lei che rimaneva senza di lui. Perché erano diventati improvvisamente, irrazionalmente due dopo essere stati uno, per tutta una vita. Quando Raimondo se n’è andato ha creato un’asimmetria che era fin peggiore del vuoto. Quando Sandra l’ha raggiunto è rimasto il vuoto, ma si è cancellata l’asimmetria. Fino a ieri.
Partito dalla Chiesa di Dio Padre a Segrate, il feretro di Sandra è stato sistemato al cimitero di Lambrate, quello di Raimondo, cinque mesi fa, nella cappella di famiglia al Verano di Roma. Seicento chilometri di terra per dividere l’eternità. Raimondo l’avrebbe di certo liquidata con una freddura. Qualcosa del tipo: «Eh meno male, lasciami in pace almeno adesso...» e lei gli avrebbe probabilmente risposto con una cosa del genere: «Da morto, sei ancora più cretino».
Per tutti gli orfani del loro umorismo, invece, l’eternità divisa di Sandra e Raimondo sembra l’unica battuta mal riuscita. Colpa di una questione burocratica o forse di una precisa scelta. Nella cappella dei Vianello, non può essere tumulato nessuno che non sia nato Vianello salvo precisa richiesta, ha fatto sapere l’Ama (l’Azienda Municipalizzata della Capitale) da parte degli eredi. Solo che questa precisa richiesta sembra non sia mai arrivata, da parte di nessuno. Secondo la famiglia di filippini che da anni viveva con la coppia, sarebbe stata Sandra a decidere di essere sepolta a Lambrate, assieme alla madre. Un calcio capriccioso, come quelli che tirava sotto le coperte ripetendo il suo «mantra» («che barba, che noia»), l’inaspettata chiusa di un lungo «bisticcio» durato anni, la spiazzante conclusione di una delle sue gag. Come se si dovesse riposare dalla costante manutenzione di un amore tanto lungo. Come se avesse sempre saputo che di Raimondo se ne sarebbe andata deliziosamente sazia. Come se avesse deciso di dedicarsi, almeno dopo, agli altri. A sua madre, per esempio. La coppia che ha inventato il noi, che non è «più noi». Chissà...
Sta di fatto che ieri, dal sito Tgcom di Paolo Liguori (che per primo ha dato la notizia della sepoltura divisa) è partita una raccolta di firme per riunire Sandra e Raimondo nell’ultimo sonno. Che barba che noia, l’eternità senza di te. «Ma come, due ai quali il sindaco di Milano, Letizia Moratti, stava pensando di intitolare un parco anziché una strada, perché più adatto a ricordare gli innamorati, due così che vengono seppelliti a centinaia di chilometri di distanza?!» commentava Liguori mentre lanciava la proposta di «riunirli nel famedio del Cimitero Monumentale, insieme ai grandi artisti milanesi».
Milano, in effetti, sarebbe il luogo più adatto alla coppia che, ormai da anni, incarnava una certa solida «lombardidad» (come direbbe Fedele Confalonieri), fatta di anni trascorsi negli studi di Cologno Monzese, di abitudini «nordiche», di nebbie, di sartine fedeli, di mense aziendali, di cigni e di laghetti. Un rassicurante microcosmo costruito attorno ai vialetti di MilanoDue: Casa Vianello.

Dove la si vuol mettere adesso, per l’eternità? Come si fa a dividere i cognomi sull’etichetta del citofono, a pensare che in quel letto a due piazze ognuno se ne stia per conto suo, senza che lei senta lui che sfoglia la Gazzetta, senza che lui senta lei mentre si lamenta? Senza che ogni notte abbiano le coperte corte come scusa per dirsi, con calci e sbuffi e occhi rivolti al cielo, quanto sono stati fortunati per i loro primi cinquant’anni? Dai, fateci correggere quest’ultima battuta.

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