A monte ci sono c’è la storia e la geografia di Milano: i 300 chilometri di fiumi sotto la città, i 50 chilometri di tombinature dei corsi d’acqua maggiori (Lambro, Seveso, Olona, Navigli) le Alpi vicine, l’urbanizzazione dell’intera area metropolitana, le piogge più frequenti. A valle c’è la Milano che a ogni acquazzone finisce sott’acqua, interi quartieri allagati come regioni monsoniche dell’Indocina, strade e palazzi che restano senz’acqua e gas.
In mezzo quel che si potrebbe fare, le opere che dovrebbero essere realizzate da decenni, ma che per una ragione o per l’altra - alcune umane, altre naturali - non sono state ancora messe in opera.
«In effetti - ammette Enrico Orsi, professore di Idraulica del Politecnico di Milano - che io ricordi il problema del Nord Milano era già impellente negli anni Settanta». Ma cosa succede a Milano? "Il dato da cui partire è che i fiumi, per loro natura, escono. Stanno dentro il loro alveo per anni, poi escono perché non sono strade, sono elementi vivi. Il fatto che parliamo del Seveso, del Lambro e dell’Olona e non del Missisipi e del Rio delle Amazzoni non cambia niente. È tutto proporzionato. Il Seveso è più piccolo del Missisipi, ma scorre dentro vincoli molto più stretti, che diventano sottodimensionati quando la portata è eccessiva".
Dunque, che fare? "Se non vogliamo che esca fuori, ci sono due possibilità - spiega l’esperto - Come per una strada bloccata dal traffico. O si riducono le auto o si allarga la strada. Qui possiamo aumentiamo la capacità dell’alveo, o ridurre non tanto il volume del corso d’acqua, la sua portata, la rapidità con cui porta acqua".
Le opere quali sono? "Le opere possibili, o doverose - riflette ancora Orsi - sono le vasche di espansione che accumulano acqua nel momento della piena e la rilasciano nelle ore successive". Grandi quanto? Tanti piccoli "Idroscali"? "Grandi piscine, con una funzione regolatrice. In parte per l’Olona è stato fatto, con una diga di laminazione, delle tre previste, che è stata realizzata sotto Varese". I problemi non mancano, e sono gli stessi che incontra la seconda soluzione, vale a dire l’ampliamento dei letti in cui scorrono i fiumi: "Uno dei problemi è che queste vasche dovrebbero essere realizzate, nel caso di Milano, in zone fortemente antropizzate. Autostrade, imprese, centri urbani, non è facile trovare lo spazio per vasche o canali. Il Seveso si infila sotto Milano a Nord, e poi esce dopo il centro. Quel che c’è sotto non si può ampliare. Si capirà che una vasca...in via della Spiga è piuttosto complessa e onerosa". "Per il Seveso - continua Orsi - un margine d’azione ci potrebbe essere, per il Lambro, che ha un corso più naturale, c’è. Si potrebbero regolare e potenziare, senza interferire troppo con l’ambiente, i laghetti naturali da cui nasce".
Vasche, piscine, laghetti. Non si tratta di mega opere: "Non sono costi spaventosi. Servono una manciata di milioni e una manciata di anni. Per l’Olona - ricorda Orsi - credo che in 4-5 anni si sia fatto tutto". Altra questione, altro problema, è la burocrazia: "Ci sono molte competenze sovrapposte - constata Orsi - e servirebbe invece un’unica autorità. Poi visto che i fiumi hanno il difetto di andare da monte a valle - ironizza Orsi - Milano va salvata dalla Brianza, così come viene considerata responsabile dell’inquinamento dell’Adriatico". "Sì - riflette - c’è il problema di una gestione molto frazionata. Comuni, Province, Regioni, ministeri, si deve mettere insieme tante teste e competenze".
E intanto? "Certo che la capacità degli amministratori di dire qualche no nelle licenze aiuterebbe - osserva - o avrebbe aiutato. Ci sono zone di Milano in cui tre piani di box non sono possibili, o lo sono a rischio di chi li vuole usare".
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