A settant’anni il Signor Tv fa rotta su Sanremo

Per due volte è emigrato, senza successo, a Mediaset ma è sempre rinato dalle tante cadute. L’ultima battaglia? Superare con signorilità anche il divorzio dalla moglie Katia

Massimo Bertarelli

Lazzaro gli fa un baffo, Fanfani, che Montanelli aveva ribattezzato il Rieccolo, può andare a nascondersi. Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo da Militello è uscito di scena cento volte e centouna è risorto. Tanto per gradire, oggi che compie settant’anni, si appresta a condurre il suo dodicesimo Sanremo («Così batto Mike»). Alla faccia di chi lo aveva già sepolto. Artisticamente, s’intende. In video Pippo sta come a casa sua, anzi, forse meglio, visto che lì non ha mogli a cui render conto. Le cronache rosa riferiscono che ne ha avute due, la prima si è persa nella notte dei tempi, la seconda, che per vent’anni ha fatto la gioia dei rotocalchi, è diventata popolare (quasi) quanto lui. Da quel signore, come si suol dire all’antica, per distinguerlo dai cafoni di ultima generazione, che è, di Katia Ricciarelli non ha mai sparlato, puntualmente ricambiato dall’ex consorte. Due anime gemelle almeno in questo e anche due mosche bianche nell’Italia dei rancori e delle vendette. Certo, non gliel’ha mandato a dire che lui nella Fattoria non ci avrebbe messo piede. Precisazione quanto mai superflua per uno che ha fatto dell’eleganza il proprio simbolo. Ve lo immaginate Baudo in mutande a sorbirsi tutto il giorno gli sproloqui di Aldo Einstein Montano o gli squittii di Alessia Barbie Fabiani? Fantascienza pura.
Fresco di laurea in legge, nel 1960 il giovane Baudo si preparava a dare una robusta spallata alla parte nobile delle tradizioni familiari (nonno notaio e papà avvocato) per avvicinarsi al lato dinastico più deplorevole (un vecchio zio cantante, sicuramente fatto sparire anche dagli album fotografici di casa). Così in quello stesso anno sbarca a Roma e si tuffa subito in via Teulada, sede storica della Rai. Con l’ostinazione che tutti gli hanno sempre riconosciuto e la timidezza che oggidì lascia trapelare soltanto nel sonno, fa su e giù consumando le suole delle sue 45 magnum. Finché un caritatevole giornalista-attore, Carlo Mazzarella, prima incuriosito e poi impietosito, lo indirizza a un brulicante caffè di Piazza del Popolo, dove sarebbe stato molto più facile incontrare uno dei mammasantissima che quello spilungone andava cercando.
A farla breve, Baudo ottiene la sospirata udienza da Sergio Pugliese, potentissimo direttore dell’azienda e occhio davvero clinico se già l’aveva notato sul palco del Sistina, in Scanzonatissimo, lo show dove Pippo era tenuto a balia dal trio Pandolfi-Steni-Noschese, inimitabili maestri di ironia. Il fruttuoso contagio teatrale diventa il trampolino per la tv, allora Rai e basta. Alla Guida agli emigranti, dal titolo beffardamente autobiografico, segue il varietà Primo piano, involontario, e presumibilmente meno barboso, progenitore dell’odierno programma di Raitre.
Il dado ormai è tratto. Nel ’66 con Settevoci, un musicarello infilato nella depressa (e deprimente) domenica pomeriggio, conquista anche il pubblico autosufficiente, tanto da meritarsi altre tre edizioni. Oltre che una parlantina scioltissima, il mancato azzeccagarbugli, dimostra di avere una bella voce, gorgheggiando la sigla della trasmissione, la mitica, orecchiabile Il suo nome è Donna Rosa, di cui ha scritto il memorabile, nel senso che ancora adesso lo ricordano in molti, testo. La consacrazione è datata Sanremo 1968. Baudo presenta, condurre era un verbo futuribile, il Festival in coppia con la bionda pioniera televisiva, e cinematografica, Luisa Rivelli. Un pivello con un bel caratterino, pronto a lamentarsi per quel ruolo defilato: «Tanto vale che ci diano la voce fuori campo».
A tenere il conto delle successive trasmissioni con Pippo al timone c’è da perdere la trebisonda, Canzonissima e Senza rete, Spaccaquindici e Luna Park. Un presenzialista da mettere in soggezione Vespa e Costanzo. La prima serata gli va stretta e si (ri)prende il pomeriggio del dì di festa con Domenica In, che con l’andar del tempo rischia di trasformarsi in un suo feudo. Permaloso come tutti gli unti dal Signore, se la lega al dito quando il presidente Rai Enrico Manca lo punge nell’orgoglio con la celebre invettiva: «Baudo fa solo programmi nazionalpopolari». Un altro avrebbe replicato con una risata, Pippo, acclamato Super, prende cappello e lo appende, non certo gratis, a Mediaset (allora Fininvest) da direttore artistico, una qualifica cui si affezionerà assai, a prescindere, come direbbe Totò. Ma il richiamo della foresta lo riporta presto in Viale Mazzini: c’è un filotto di cinque Sanremo, inframezzati da Partita doppia, Mille lire al mese, Papaveri e papere e Numero uno, un titolo, quest’ultimo, su misura.
Bizzoso come i veri cavalli di razza, pianta lo sbigottito collega bronzeo di Viale Mazzini e torna per la seconda volta a Mediaset. Ma incamera flop e delusioni, tiroidi sfasciate e ricucite. Addio Baudo, è l’inno giulivo a reti unificate. Eh no, mai fare i conti senza Pippo.

Che con l’umiltà dei grandi riparte da Raitre, l’isola d’Elba dove si è volontariamente esiliato, dove sosterrà ben più di cento giorni per rientrare, ritemprato da un sorprendente boom di ascolti. Uscito dalla porticina di servizio calpesta il tappeto rosso e irrompe fra le fanfare e i pennacchi dal portone principale. Per Sant’Elena si prega di ripassare a fine secolo.

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