«Siete criminali servi degli Usa» La rabbia dei terroristi islamici

La Corte d’Assise ha appena pronunciato la sentenza. Lui, Dridi Sabri - tunisino arrestato nel novembre di tre anni fa con l’accusa di terrorismo internazionale - è stato condannato a 8 anni e mezzo di reclusione. Prende la parola dalla gabbia dove si trova assieme agli altri imputati, e si rivolge al procuratore aggiunto Armando Spataro, in aula accanto al pubblico ministero Nicola Piacente per assistere alla lettura del verdetto. «Sei un servitore dell’America - urla -, non un italiano tricolore. Sei un criminale. Sei un complice del criminale Bush». E in aula c’erano anche un gruppo di autonomi vicini ai centri sociali, che si sono uniti al tunisino negli attacchi ai giudici e al magistrato. Come se meritassero gli insulti per una lunga indagine che ha smantellato quella che gli investigatori del Ros hanno descritto come una cellula jihadista organizzata per rastrellare denaro, reclutare terroristi, progettare attentati. Sono gli stessi estremisti - tra marocchini, tunisini e algerini - che, intercettati al telefono, parlavano degli italiani come dei «cani miscredenti, questa razza è peggio degli americani». E sono gli stessi, tre anni dopo. In quindici sono stati condannati ieri, con pene comprese tra i sei mesi e gli otto anni e mezzo di reclusione. Dieci, invece, le persone assolte. La pena più alta, dunque, va proprio a lui, Dridi Sabri, considerato la mente della cellula qaedista. Era lui il capo, e a lui spettavano le funzioni di direzione e organizzazione anche di altri gruppi attivi a Reggio Emilia e in Liguria. L’accusa a suo carico è di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale, traffico di documenti falsi, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nel corso dell’ultima udienza, Dridi aveva chiesto perdono, citando addirittura Papa Wojtyla. «Come ha detto Giovanni Paolo II, “non c’è giustizia senza pace, non c’è pace senza perdono”». Non gli è servito scomodare la memoria del Pontefice. Secondo la Procura, il gruppo si arricchiva gestendo il traffico degli extracomunitari. Quel denaro, poi, veniva utilizzato per finanziare i progetti terroristici «in un quadro - si legge nel capo di imputazione - di jihad globale». E ancora una volta, le attività della cellula si concentravano nelle moschee di viale Jenner e via Quaranta, nelle quali - attraverso video, sermoni e documenti di propaganda fondamentalista - il gruppo cercava di fare proseliti. La Corte, presieduta da Luigi Cerqua, ha mantenuto il reato di terrorismo internazionale per sei dei quindici condannati. Per alcuni, invece, è caduta l’aggravante della finalità terroristica. A 5 anni e 11 mesi di carcere è stato condannato Imed Zarkaoui che, stando alle indagini, teneva i contatti con i componenti dell’associazione che agivano all’estero: in Francia, Spagna, Regno Unito, Portogallo, Romania, Algeria e Siria.

Si chiude così un processo movimentato, durante in quale - in più occasioni - gli imputati si sono lasciati andare a proteste plateali e accuse a pm e giudici. Uno di loro, Ignaoua Habib, aveva gridato ai magistrati: «Complici degli ebrei, fascisti». Parole senza senso. Habib, ieri, è stato assolto.

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