La "signora" Carfagna: il gelo del Cavaliere sulla ministra in fuga

La titolare delle Pari opportunità: "Addio dopo la fiducia". E la sinistra dagli insulti all’ovazione: Mara santa subito

La "signora" Carfagna: il gelo del Cavaliere sulla ministra in fuga

Roma Per la redenzione da tutti i peccati ci è voluto un attimo, un accenno di rivolta al Cavaliere oscuro ed ora, per quelli che la additavano come una velina miracolata dell’ignobile Mignottocrazia berlusconiana, la Carfagna è diventata semplicemente «Mara», un’eroina della porta accanto, santa subito. Per Berlusconi, invece, a cui lei deve tutto e forse anche di più, Mara si è tramutata nella «signora Carfagna», gelido appellativo che il premier riserva agli avversari, tutti ipso facto senza laurea (il signor D’Alema, il signor Prodi, il signor Di Pietro...). «Non mi ha fatto tribolare, è una cosa a cui non annetto particolare difficoltà» ha detto il Cav ai cronisti inviati a Lisbona per il vertice Nato, aggiungendo però quella parolina, perché «ciò che mi fa stropicciare gli occhi è che in una giornata in cui la Finanziaria è stata approvata alla Camera con 62 voti di maggioranza e c’è uno storico vertice della Nato, i giornali hanno titolato sulla signora Carfagna».
Quell’espressione uscita di bocca a Berlusconi racconta più di ogni retroscena quel che sta succedendo, anzi che già è successo, dietro le quinte. In effetti la «signora Carfagna» ha già dato il benservito a chi l’ha trasformata da soubrette in onorevole e ministro, buttandosi nelle braccia (metaforicamente, s’intende) di Bocchino, il motore campano di generazione Fini. Si dimetterà il 15 dicembre, dopo aver votato la fiducia al governo, con tattica già brevettata dai finiani, quella della doppia scarpa. «Mi dimetterò da ministro visto che il mio contributo pare sia ininfluente», dice, e il riferimento è alla gestione del partito in Campania («È una guerra tra bande»). Si dimetterà anche, dice sempre nell’intervista esclusiva al Mattino (scelto non a caso tra tutti quelli che le hanno chiesto un’intervista ieri), dal Pdl e dalla Camera, «perché a differenza di altri sono disinteressata e non voglio dare adito a strumentalizzazioni». Un elegante défilé da tutte le posizioni di potere che prelude però, più prosaicamente, alla guerra per una poltrona ben precisa, quella di sindaco di Napoli, sostenuta da Fli e altri. È una delle ipotesi più accreditate sulle prossime mosse della «signora Carfagna», anche perché le amministrative a Napoli (come in altri mille Comuni) sono dietro l’angolo, a primavera. Ed è lì in Campania che i finiani hanno una base su cui contare, quella della Generazione Italia di Italo Bocchino, regista della convention finiana di Bastia Umbra grazie agli iscritti dell’associazione da lui escogitata e traghettatore di anime in pena ex berlusconiane (con una predilezione per quelle femminili, vedi Moroni) nel Fli. In Campania, a Napoli, con la Carfagna, i finiani possono puntare a risultati più concreti rispetto al nazionale, dove hanno numeri molto più modesti. Ci si ricorda che la ministra alle ultime Regionali è stata la candidata più votata (56mila preferenze) d’Italia, ovviamente in Campania e proprio grazie al supporto della rete finiana (allora nel Pdl).
Un risultato miracoloso la Carfagna l’ha comunque già ottenuto: una riabilitazione immediata e struggente da parte della stampa prima nemica. L’ex velina berlusconiana, quella da dileggiare tramite pubblicazione di foto discinte, calendari sexy e scosciamenti in programmini tv, si è tramutata in 48 ore in una statista da trattare con riguardo, una specie di Evita Peron, una nostrana Angela Merkel del futuro (e libertà?), solo molto più carina. Il riferimento a Magalli e Mengacci, espediente canagliesco per sbeffeggiare la sua «formazione» politica, è sparito come per incantesimo. Ora i giornali corretti studiano i suoi stati d’animo di leader, la intravedono «amareggiata» per quel che deve subire, povera santa donna. L’Unità, che si era esercitato con notevole perfidia sulle soubrette del Pdl, ora si pente e racconta in prima pagina «Lo schiaffo di Mara» la pura, riprodotta nelle foto sempre e solo in tailleur, giammai in bikini o decoltè come prima, perché sarebbe da spregevoli machisti.

Siamo invece nel genere comico col Secolo d’Italia, i tipini fini come li chiama Dagospia, quelli che sdottoreggiavano coi loro professori a libro paga di Fini sui mali del velinismo, ora si corrucciano sulla «Carfagna al centro di una serie di attacchi feroci». È vero quel che profetizzano i finiani, cioè che la velinocrazia ha le ore contate. Basta cambiare partito e non c’è più.

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