Il sindaco della città bombardata: «Esageriamo? Andate al diavolo!»

da Haifa

«Sa cosa possono fare la comunità internazionale e l’Europa? Possono andare a farsi fottere!». L’urlaccio del sindaco Yona Yahav per un attimo copre il brusio della sala che si vuota. I consiglieri comunali si bloccano. Si blocca pure la scorta del ministro Amir Peretz in uscita. Decine di occhi fissano il sindaco incavolato e il giornalista impertinente. Decisamente non è il giorno giusto per chiedergli cosa ne pensi delle critiche europee alla cosiddetta «reazione sproporzionata» di Israele. Yona Yahav, 55 anni, sindaco di Haifa, si scusa, riprende fiato, continua la sua intervista al Giornale.
«Non volevo offendere nessuno, ma mi deve capire, un’ora fa ero in quel capannone dove sono morti otto miei concittadini, otto lavoratori. Risentire parlare di reazione spropositata mi fa accapponare la pelle. Guardi qua»: Yona Yahov affonda una mano in tasca e tira fuori una manciata di biglie d’acciaio. «Le ho raccolte nel capannone, tra le pozze di sangue dei morti e dei feriti, sono queste biglie che li hanno uccisi, sono le stesse biglie che raccogliamo quando c’è un attentato terroristico. Chi ha costruito e lanciato quel missile ha la stessa mentalità dei terroristi suicidi, la stessa volontà di colpire nel mucchio, di far strage di civili».
Da dove arrivava quel missile?
«Secondo gli artificieri e gli esperti balistici si tratta di un missile siriano capace di colpire a 70 km di distanza. Se verrà confermato, Damasco sarà responsabile per questi morti».
Perché la fanno tanto arrabbiare le reazioni europee?
«Perché non comprendete la situazione. Perché la guardate con gli occhi di chi sta lontano e crede di essere al sicuro. Io adesso faccio parte di Kadima, il partito del primo ministro, ma dieci anni fa ero alla testa di un movimento che ogni giorno dimostrava contro il governo per chiedere il ritiro dal Libano. Alla fine ci si siamo riusciti, le nostre truppe se ne sono andate, ma quelli non hanno mai smesso di spararci addosso e di combatterci usando il terrore».
Quindi condivide appieno la reazione del suo esercito?
«Non solo la condivido, ma da uomo di sinistra applaudo ogni volta che la mia aviazione fa fuori un’installazione o una base di Hezbollah sia a Beirut sia nel sud del Paese. Nessuno può considerare innocente o non responsabile il governo di Beirut. Cosa direste voi europei se Israele permettesse a un’organizzazione terrorista che colpisce le vostre città e uccide i vostri cittadini di mantenere basi e campi di addestramento sul nostro territorio? Cosa direste se li facessimo sedere in Parlamento con due ministri? Ognuno è responsabile per quel che succede all’interno dei suoi confini, e il governo di Beirut non può pensare di sfuggire ai propri doveri».
Che cosa chiedete all’Europa?
«Le chiediamo di essere realista, di aprire gli occhi. Quanto sta succedendo qui riguarda anche voi europei, non potete illudervi di cavarvela. Gli Hezbollah sono solo una propaggine del terrorismo islamico internazionale. Oggi sta succedendo a noi, domani capiterà lo stesso anche a voi. Avete avuto Londra e Madrid, ma continuate a fingere di non vedere. Guardate gli americani, prima dell’11 settembre anche loro ci imponevano la moderazione, oggi hanno capito che il dialogo non basta. Talvolta bisogna agire e avere il coraggio di farlo.

Questa situazione, come ha detto il ministro Peretz, non si risolverà fino a quando non avremo cambiato la situazione al confine libanese».
E intanto Haifa, la terza città del Paese, cosa fa? Chiude per missili?
«Qui non si chiude nulla. Da domani qui si rincomincia. Lo scriva, Haifa non si ferma per un paio di missili».

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