scrivo per fatto personale, ma sono convinto che molti milanesi si riconosceranno in quella che non è una protesta contro le sacrosante contravvenzioni «normali» (sosta vietata, passaggio con il rosso, svolta proibita, ecc.), bensì un atto di disobbedienza civile nei confronti delle multe pretestuose e persecutorie che ultimamente sempre più spesso fioccano sugli automobilisti che abitano o transitano in questa città. Per la prima volta da quando ho la patente (oltre 30 anni), non pagherò. E non farò neppure ricorso: del tutto inutile in questo caso, come si vedrà tra un momento. Semplicemente, mi rifiuto di sottostare a un’ingiustizia e sono pronto ad affrontarne le conseguenze.
I fatti. Abito in zona Fiera, non ho garage e la mia auto è munita di regolare permesso di sosta concesso ai residenti. Il 10 novembre scorso, dovendo assentarmi dall’Italia per una settimana, parcheggio la vettura in uno degli stalli delimitati dalle strisce gialle posti in via Albani, praticamente gli unici in tutta la zona che mi mettono legalmente al riparo anche dalla «trappola» del lavaggio strade, l’evento che ogni martedì sera fa decadere in tutte le vie limitrofe la licenza di sosta di cui sono provvisto. Dopodiché parto serenamente per il mio viaggio.
Al ritorno, trovo su parabrezza, non una, ma due contravvenzioni da 50 euro ciascuna. La prima vergata il 12 novembre alle ore 21.09, l’altra il 17, martedì, alle ore 22.50 (complimenti, dei veri stakanovisti questi ghisa...). Sbalordito, giro i detestati foglietti per leggere a causa di quale delitto sarei stato così duramente punito: «Sosta su aiuola pubblica», strilla la prima multa. «Divieto di sosta per veicoli a motore negli spazi a verde», ribadisce la seconda. Guardo: lo pneumatico posteriore sinistro sormonta per circa cinque centimetri il cordolo che delimita quella che viene pomposamente definita aiuola; però non tocca in alcun modo lo «spazio verde» (e non solo perché in quei due metri quadrati coperti da foglie e terriccio, di verde non c’è neppure l’ombra). Passo sull’altro lato: la distanza tra la mia auto e quella posteggiata di fianco consente al guidatore di uscire dalla vettura soltanto se va a fare jogging tre volte la settimana e limita al minimo il consumo di dolci. A questo punto, succedono due cose: mi viene in mente la giovane signora che, suv e cellulare incollato all’orecchio, dieci minuti prima ha rischiato di travolgere un anziano sulle strisce pedonali rombando poi via impunita e subito dopo mi arrabbio.
Signori, ditemi quello che volete, ma queste non sono contravvenzioni. Sono imboscate. D’ora in poi mi aspetto di essere multato perché viaggio a fari spenti anche se li ho accesi, perché non ho la targa anche se non è vero, perché non ho il permesso anche se è esposto in bella vista sul parabrezza. Qual è il problema? La parola del vigile contro la mia, indovinate chi vince. Una bella contravvenzione (inventata) al giorno e il bilancio è salvo. La coscienza magari un po’ meno, ma ce ne si farà una ragione.
Stavolta, però, c’è una novità: non pago. Voi prendete pure tutti i provvedimenti del caso, ci mancherebbe. Ma io non pago. E racconterò ai lettori tutto quello che capiterà in proposito da qui in avanti.
Con immutata stima.
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