La sinistra adesso si vanta dei disastri

La domanda che si fa è: che fare? La risposta è molto di destra: «Mi turo il naso e voto per Vendola». Questa è una storia di disillusioni. Qualche giorno fa uno scrittore pugliese, che sente nel sangue il richiamo della sinistra, parlava sconsolato di queste maledette elezioni regionali. È uno di quei tipi che se non vota, fa scheda bianca o se scrive insulti sulla scheda non dorme per il senso di colpa. Ti dice che il voto è un diritto-dovere e robe del genere. Solo che questa volta è davvero stanco. È cresciuto con l’idea che i sindaci e i governatori rossi sono onesti, puliti, fanno cultura, pensano alla povera gente, non usano le auto blu. Quando ha saputo che nella sua Bari la sanità puzza di marcio si è depresso. Con Marrazzo è caracollato. Con Delbono è svenuto. In poche mosse gli hanno distrutto un’infanzia.
Molta gente a sinistra questa volta non va a votare perché ci crede, ma solo per non rinnegare in un colpo solo un passato politico. La differenza è che se gli parli di «buon governo» della sinistra scoppiano a ridere. Poi, certo, vanno a votare. Votano perché non hanno niente altro da fare. Votano perché il rosso non passa mai di moda. Votano perché meno male che c’è Berlusconi, un nemico in cui riconoscersi. Votano per partito preso. Votano per milioni di ragioni. Di una cosa sono però sicuri: non votano la sinistra perché sa governare. Cinque anni di federalismo rosso sono bastati.
Il Sole 24Ore ogni anno si diverte a giocare con i numeri del «governance poll». È un modo per pesare il consenso di chi comanda. È lo specchio della delusione. Antonio Bassolino ha perso il 23,6 per cento di gradimento rispetto a cinque anni fa, quando fu eletto. Ok. Nessuna sorpresa. È Bassolino. E il calabrese Agazio Loiero? Meno nove. Il lucano De Filippo? Meno quattordici. Nichi Vendola perde solo il 2,8 per cento. Ma perde anche lui. Il Sud, soprattutto, il Sud è un cimitero di illusioni perdute. La malapolitica è ineluttabile. Ogni volta si spera che qualcosa cambi e poi ti ritrovi con cattedrali di monnezza nelle strade, con il solito arrabattarsi per cercare lavoro, con le clientele e i soldi pubblici distribuiti alle solite consorterie, con i clandestini in catene e le mafie che sono le uniche multinazionali con Pil da far invidia alla Cina. E con la sanità che è un buco nero di tangenti, risorse e inefficienza. L’Eurispes dice che i conti in rosso del Lazio sono un quarto di tutto il sistema sanitario nazionale. Subito dopo viene la Calabria, con un incremento del debito del 62,3 per cento. Questo è lo scenario con cui si va a votare. Eppure uno come Vendola continua a dire che «il vantaggio del centrosinistra in Puglia è legato al buongoverno di questi cinque anni». Loiero in Calabria lo imita: «La nostra forza è il cambiamento». Il senatore Riccardo Milana, braccio destro della Bonino, lascia la segreteria del Pd a Roma e, dopo aver chiesto scusa per gli errori commessi, elogia Rutelli, Veltroni e Marrazzo: «Sono stati quindici anni di buongoverno». E poi mette in guardia quiriti e cittadini romani contro il «ritorno della banda del buco in Regione». Banda del buco? Meglio fermarsi qui. Vendola, Loiero e Milana li pagano per dire queste cose. Tutti gli altri si tureranno il naso.
Quello che sconforta tutti, a destra come a sinistra, è guardare questa politica da basso medioevo. Il territorio è suddiviso in tanti piccoli feudi dove i baroni di questa democrazia disillusa ingrassano e dettano legge. Nel Pd e dintorni c’è una guerra civile di «padri nobili» che passano gli anni ad accoltellarsi alle spalle. È un’aristocrazia dove nessuno è abbastanza grande da prevalere sull’altro. D’Alema e Veltroni cospirano contro Prodi e lo fanno cadere. Poi dalemiani e prodiani soffiano sull’autolesionismo di Veltroni che chiude bottega per fallimento. Ora Prodi e Veltroni stanno affilando i coltelli per far fuori Bersani e il suo grande protettore. Questa guerra civile non si ferma ai vertici, ma scende e si diffonde territorio per territorio, con vassalli, valvassori e valvassini che parteggiano per una fazione o per l’altra. È per questo che in Puglia le primarie hanno premiato Vendola, un fuori casta, e nel Lazio è stata scelta la «straniera» Emma Bonino, una radicale che ha salvato ciò che resta del Pd, dove il povero Zingaretti messo ad esplorare vedeva solo veti, ombre e vendette. Cosa è successo? Il Pd ormai rappresenta il partito della spesa pubblica: statali, scuola, pensionati.

«Il Pd - scrive il politologo Paolo Pombeni - è quello che era la Dc delle correnti, ma oggi non c’è più da governare l’abbondanza delle risorse pubbliche. Serviva uno sforzo di innovazione nella selezione della classe dirigente. Invece c’è asfissia. I dirigenti nazionali e locali si sono chiusi in sé, protetti da un muro di autoconservazione». Come un’oligarchia feudale.

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