La sinistra radicale: via da Kabul in tempi certi

da Roma

Far cadere il governo non si può. Andare via dall’Afghanistan non si può. Votare un rifinanziamento senza «segnali di discontinuità» neppure si può. Entro questa stretta corsia sta racchiusa la marcia di Romano Prodi lungo uno dei soliti «tornanti» della politica estera. Materia che per la maggioranza sembra terreno scivoloso, anche più dei versanti di politica economica e sociale.
Ma il rifinanziamento afghano è una di quelle vicende che, nate come tempesta in un bicchier d’acqua, rischiano di tramutarsi nella classica buccia di banana. Quando a marzo il decreto arriverà al voto di conversione in Senato, troverà una maggioranza inesistente e un’opposizione agguerrita. Al momento, quest’ultima può contare su 157 voti saldi, contro i 157 dell’Unione (assai meno saldi, come si sa). I soliti «magnifici sette» senatori a vita, sulla missione afghana, hanno posizioni contrastanti. Tanto per fare un esempio, Giulio Andreotti ieri ha dichiarato che «meno siamo impegnati in queste cose tanto meglio è». E i cosiddetti «ribelli di luglio» (quattro rifondatori, due comunisti e due verdi) potrebbero vanificare il loro (eventuale) apporto. Appare perciò scontato che Prodi si rifugi nel voto di fiducia. Ma non è detto che Claudio Grassi, Fosco Giannini, Haidi Giuliani, Franco Turigliatto, Fernando Rossi, Manuela Palermi, Mauro Bulgarelli e Loredana De Petris si dichiarino sensibili alle ragioni della stabilità. Per alcuni di essi in questi mesi qualcosa è cambiato, ma non per tutti. In aggiunta al gruppo, la dipietrista Franca Rame, l’autonomista Oskar Peterlini, il verde Giampaolo Silvestri si sono dichiarati molto contrari alla missione.
Come convincerli? Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, sta svolgendo sia pure dalla sua delicata poltrona istituzionale una certa pressione. Anche se nega coinvolgimenti diretti. Una sua lunga intervista al Corsera ha però voluto marcare una serie di punti importanti. Primo: il governo non deve cadere, non sulla politica estera. La partita è meglio giocarla sulle questioni sociali. Secondo punto: il sì al raddoppio della base Nato di Vicenza è stato un errore e Bertinotti si dice «assolutamente contrario». Sollecita un ripensamento di Prodi, almeno per un referendum locale. Terzo punto: «Vicenza e Afghanistan non sono legati, se non nel clima politico». Ma va cercato a tutti i costi un compromesso. «Un buon compromesso è quello che sottolinea il ruolo di pace dell’Italia nello scacchiere internazionale». È quanto sta cercando di fare il ministro degli Esteri, D’Alema, rispolverando le idee di una Conferenza di pace e di diverso impiego dei militari. È quanto sollecita anche il leader verde, Pecoraro Scanio, quando si dice certo che «l’Unione saprà mantenere gli impegni presi a giugno e garantire una svolta in Afghanistan, con un cambio di strategia». È quanto si attende il capo dei senatori Prc, Russo Spena: «Il confronto non riguarda l’ipotesi di ritiro, che sarebbe auspicabile e necessario ma al momento non praticabile. Se il governo vuole il cambio di strategia, indichi quali tempi vuol darsi e che strategia alternativa propone».
Bisogna fare attenzione ai dettagli. Il leader del Pdci, Oliviero Diliberto, non direttamente coinvolto al governo, auspica una coalizione «dove ci sia più sinistra» ma è anche lui rassicurante: «Non voglio far cadere Prodi, nella maniera più assoluta, ma spero che non sia il governo a voler far cadere se stesso». Perciò chiede che Prodi non faccia come con la base di Vicenza, «dove ha deciso da solo», optando per una «scelta che ferisce la sovranità nazionale italiana», e per la quale il Pdci lancerà una «mobilitazione generale contro le basi Usa in Italia». Sull’Afghanistan, il governo dovrà invece «sedersi attorno a un tavolo per discutere». La richiesta di Diliberto vuole «coprire» quella dei «ribelli» ultrapacifisti, sia pure in versione un minimo edulcorata: non «exit strategy» subito, ma «una chiara indicazione di modi e tempi per il ritiro». Lo stesso propone il verde Paolo Cento, cui non fa velo l’essere sottosegretario all’Economia: «Si scriva una data certa per la fine della missione militare». Ecco perché in serata si è tenuto un vertice a Palazzo Chigi tra il premier e i segretari di Rifondazione, Pdci e Verdi voluto da Prodi. «Quello con Giordano, Diliberto e Pecoraro Scanio è stato un incontro interlocutorio», dice una fonte di Palazzo Chigi, visto che «nei prossimi due giorni il premier sarà impegnato all’estero». Rimane dunque il rebus, mentre le posizioni dei «ribelli», più o meno comprensibili, restano. Ecco perché si tratta di posizioni dettate dallo scacchiere politico.

Mastella ha richiamato la sinistra a «una prova di maturità», soprattutto agitando lo spauracchio dei voti dell’opposizione: «Significherebbe che la sinistra radicale vuole demoniacamente il neocentrismo, perché noi faremmo subito un grande governone di centro... ». Minaccia che vale di sicuro per tutti i leader. Ma conterà anche per tutti i peones ribelli?

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