La Siria minaccia Olmert: «Se avanza sarà guerra»

Il comando militare israeliano: «Le nostre truppe sono nel cuore del Libano». E Damasco reagisce: «Non resteremo a guardare»

Gian Micalessin

da Safed (Confine tra Libano e Israele)

«Al dodicesimo giorno le nostre operazioni cambiano direzione, vi annuncio che le nostre truppe sono già entrate in profondità all’interno del Libano, forse speciali e forze convenzionali agiscono in tutti i settori per colpire e distruggere il più duramente possibile le installazioni di Hezbollah». Il generale Shuki Shakhrur, numero due del comando settentrionale, non ha peli sulla lingua. Non parla più d’operazioni sul confine, di incursioni limitate o d’infiltrazioni circoscritte. Annuncia l’avvio d’attacchi e assalti in tutti i settori del territorio libanese. Sottolinea la presenza di unità penetrate molto in profondità. Conferma l’imminente apertura di nuovi fronti. Le sue parole risuonate davanti a un pugno di giornalisti convocati in questa base del comando settentrionale, a una quindicina di chilometri dalla frontiera, sembrano la risposta diretta alla Siria. Il ministro dell’Informazione di Damasco Mohsen Bilal ha appena minacciato un’entrata in guerra al fianco di Hezbollah in caso di penetrazione israeliana. «Se Israele invade il territorio libanese e si avvicina a noi la Siria non resterà a guardare, ma parteciperà al conflitto» ha dichiarato in un’intervista fresca di stampa il ministro dell’Informazione siriano Mohsen Bilal. Le parole del generale Shakhrur hanno appena cancellato tutti quei se. A quest’ora, secondo fonti militari attendibili ma non ufficiali, Tsahal ha già depositato alcune unità all’entrata della valle della Bekaa, prepara attacchi intorno a Sidone e Tiro, opera nelle pianure di Nabatiye a nord del fiume Litani. Il generale non conferma questi dettagli, ma sottolinea che la penetrazione delle sue truppe si estende «da pochi chilometri oltre confine a zone molto in profondità». Potrebbe dire da qui a Beirut e sarebbe lo stesso. L’unico limite restano le parole invasione e occupazione. Shakhrur non le usa mai. Nega risolutamente di poterle usare in futuro. Le operazioni in corso sono «azioni cucite su misura per permettere la conquista o la distruzione di obbiettivi fondamentali» e garantire la neutralizzazione di Hezbollah. «Alcuni di questi obbiettivi e territori sono già sotto il nostro controllo anche se la loro conquista non può venir divulgata ufficialmente» rivela il capo di Stato maggiore.
Capire dove tutto questo stia avvenendo non è facile. L’unica area chiaramente nel mirino del generale è quella dalla frontiera al fiume Litani. In quella fascia profonda dai «30 ai 40 chilometri» è imminente un attacco su vasta scala. «Abbiamo chiesto alla popolazione civile di evacuare tutti i centri abitati, lo stiamo ripetendo da ieri notte, abbiamo bisogno si spazi aperti, vogliamo avere mano libera, combattere senza l’assillo di colpire le popolazioni civili». Quella necessità di «spazi aperti» quel desiderio di aver «mano libera» fa pensare a un’offensiva su vasta scala con l’impiego di varie divisioni. Shakhrur non si sbilancia. «Per ora abbiamo mobilitato cinque battaglioni, ma utilizzeremo il numero di truppe necessarie per ogni singola azione, abbiamo le risorse necessarie e non le risparmieremo, i numeri sono quelli di centinaia di soldati già all’interno e migliaia pronti ad intervenire».
L’unica cosa che il generale non riesce o non vuole spiegare è l’ininterrotto sbarramento di missili sul nord della Galilea. Ne cadono ottanta in tutta la giornata. Esplodono attorno alla base mentre lui parla. Centrano Haifa uccidendo un automobilista e l’impiegato di un centro commerciale. Bersagliano tutta l’Alta Galilea. Feriscono decine di civili. Costringono lo stesso ministro degli Esteri francese in visita a Haifa a cercar riparo in un palazzo.Il colpo più duro lo subisce Haifa, la capitale del nord. Sabato sera il comando della Difesa civile ha invitato la popolazione civile a lasciare i rifugi e a tornare al lavoro. Alle dieci di domenica mattina, primo giorno della settimana, le strade sono di nuovo affollate, le macchine di nuovo in circolazione, i negozi finalmente riaperti. Le sirene raggelano tutti. Due minuti più tardi la duplice, tremenda esplosione. Un razzo precipitato sulla periferia della città colpisce in pieno l’impiegato di un centro commerciale in corsa verso il rifugio. Un secondo dilania un automobilista spazzato via assieme alla sua autovettura mentre percorre una delle principali arterie del centro. Tutt’intorno almeno undici feriti, insanguinati e terrorizzati.

Nel pomeriggio le sirene suonano per almeno sei volte. La città è colpita da nuove tempeste d’acciaio. La più micidiale colpisce in pieno un’abitazione, ne sfonda le mura, esplode all’interno, risparmia per un miracolo la famiglia di sei persone riunite in un’altra stanza.

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