Sito con le ricette a base di gatti: animalisti infuriati ne chiedono la chiusura

L'Associazione italiana animali e ambiente invoca l'oscuramento di www.mangiagatti.com e l'individuazione e la condanna dei responsabili. La replica «Era tutto uno scherzo». A febbraio anche Bigazzi finì nei guai per aver indicato come cucinare i felini durante la trasmissione televisiva «La prova del cuoco»

Un antico proverbio veneto ha per sempre inchiodato i vicentini a una pratica culinaria a dir poco stravagante: mangiare i gatti. Non serve abitare nell'entroterra della Serenissima per conoscere la famosa filastrocca: «Venexiani gran signori, padovani gran dotori, vicentini magnagati, veronesi tuti mati». Da qui forse la «biricchinata» di alcuni mattacchioni che hanno aperto un sito dal titolo inequivocabile «www.mangiagatti.com» fornendo ricette su come cucinare il simpatico felino. Scatenando la furibonda reazione di Lorenzo Croce, presidente nazionale dell'Associazione italiana animali e ambiente, che ha inviato una denuncia alla procura della repubblica ed alla polizia postale di Milano chiedendo l'immediata chiusura del sito internet.
Non è la prima volta che invitare a mettere felini in pentola suscita vibrate proteste. A febbraio Beppe Bigazzi, noto grastronomo della trasmissione televisiva «La prova del cuoco» elogiò la carne di gatto, ammise di averla più volte assaggiata e fornì le migliori ricette per cucinarla. Apriti cielo, qualcuno chiese l'immediato e perenne allontanamento dalla trasmissione di Biagazzi mentre Carla Rocchi, presidente dell'Enpa, annunciò di aver dato mandato ad un avvocato di agire contro la trasmissione per istigazione al maltrattamento di animali. E ora un semplice sito, forse dagli intenti scherzosi, fa riesplodere la «guerra del gatto».
«Il sito oltre a ricette di come cucinare i mici - attacca Croce - contiene anche una serie di inesattezze relative alle leggi che tutelano gli animali, leggi che puniscono con il carcere chiunque maltratti o uccida un gatto, figuriamoci poi se questa uccisione avviene a scopo culinario». Per questo il presidente dell'Aidaa non si limita a chiedere la chiusura del sito ma pretende una condanna penale: «Vogliamo che i responsabili vengano presi e puniti con il massimo della pena. Maltrattare e uccidere gli animali è un reato penale e per questo dobbiamo colpire con pene severe chi inneggia al maltrattamento». Per la precisione la legge prevede una condanna da 3 a 18 mesi.
Il sito effettivamente esiste ma c'è il dubbio sia opera di buontemponi perché la reazione dell'Aidaa uno risultato l'ha già ottenuto: la cancellazione delle ricette, così commentata però. «Questo sito è chiaramente un burla. Togliamo le ricette (tutte raccolte sul web, abbiamo semplicemente sostituito la parola «coniglio» con la parola «gatto») perché alcune persone potrebbero prenderle sul serio e cucinare il proprio gatto. L'immagine qui a fianco mostra un piatto a base di coniglio».
Tolte le ricette però rimane l'incipit che recita: «Il problema è decidere che cosa è buono da mangiare e ciò che invece non si deve assolutamente toccare. È un fatto ben noto che negli anni passati, diciamo pure nel secolo scorso, i gatti erano mangiati in alcune parti d'Italia, anche se in genere si trattava di gatti selvatici uccisi dai cacciatori. Racconti fatti da persone nate all'inizio del 1900 parlavano di gatti cucinati come le lepri e di come il gusto non fosse poi molto dissimile dalle lepri stesse. La storia e l'antropologia ci insegnano che il buono da mangiare dipende dalla cultura e dall'ambiente sia naturale che economico in cui le persone si ritrovano; e che conseguentemente anche i tabù su cosa non si deve mangiare per nulla sono sempre molto relativi. Noi crediamo che non ci sia alcuna differenza tra un visone, un coniglio o un gatto d'allevamento».
Rimane infine il sospetto sulle origini vicentine degli estensori del sito, proprio per quell'antica flastrocca che qualunque bimbo veneto impara a balbettare fin dalla più tenera età. E ormai conosciuta ben oltre i confini della Serenissima. Che risulta particolarmente chiara in alcuni «assunti» come «venexiani gran signori». Facile: per secoli dominarono l'Adriatico, arrivando con i loro commerci fino al lontano Katai (Cina) accomulando un tal ricchezza da poter vivere di rendita anche quando l'asse economico si era ormai spostato dal Mediterraneo all'Oceano Atlantico, determinando la nascita delle nuove potenze marinare come Olanda, Inghilterra e Portogallo. Facile anche «padovani gran dotori» visto che proprio nella città del Santo si insediò fin dall'inizio del Duecento una rinomata Università. E mentre rimane quanto meno discutibile l'origine della «pazzia» dei veronesi, molte ipotesi si sono fatte sui gusti culinari dei vicentini. E fuor di ogni dubbio che in questa nobile città nel passato molti si siano sfamati con mici e micetti, magari in tempi di carestia o di eventi bellici. Ma questa non è certo una prerogativa unicamente vicentina. Durante i lunghi assedi dalle città sparivano anche i topi...
Secondo una prima ipotesi invece, l'appellativo risalirebbe al 1698, quando una grande invasione di topi terrorizzò la città. La situazione divenne tanto grave che Venezia dovette intervenire con un esercito di gatti. La tattica funzionò, ma da allora i vicentini si meritarono un posto stabile nella proverbiale distinzione di «magnagati», mantenuta viva anche da altre leggende. Sembra infatti che la presenza dei felini abbia stuzzicato la fantasia di qualche cuoco, utilizzando proprio i gatti come piatto principale.
Altri pensano sia solo una ragione fonetica. A Venezia la domanda «hai mangiato?» si traduce in «ti ga magnà?», in padovano «gheto magnà?» mentre nel dialetto antico vicentino si affermava «gatu magnà?». Questa pronuncia diede probabilmente origine al soprannome di «magnagatu» o «magnagati» dato in senso spregiativo. I veneziani avevano infatti il gusto di affibbiare soprannomi con la desinenza «magna»: «magnagiasso» ai pescatori, «magnamaroni» ai ruffiani, «magnacarta» agli scribacchini, «magnamocoli» ai bigotti, «magnamerda» infine come insulto generico. Non si esclude che il nomignolo derivi a un'eccezionale presenza di felini in città. Citando la città in una sua opera Teofilo Folengo diceva infatti «Vicetia plena gatellis». Infine non si può escludere un collegamento con l'antica famiglia vicentina dei Barbarano già dal 1.

200 chiamata «Gati» o «Goti» forse in memoria dell'origine barbarica della stirpe.
Sarà anche vero, ma la leggenda metropolitana, anzi regionale, invita a diffidare dei piatti di lepre esposti nei ristoranti vicentini. Come dire «non è vero ma ci credo».

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