da Milano
Oggi è il settimo anniversario della morte di Bettino Craxi. Passano gli anni ma non cambia il rituale commemorativo: chi va sulla tomba di Hammamet, chi propone di dedicargli una strada, chi rivendica linterpretazione autentica del suo pensiero, chi lo rivaluta dopo averlo combattuto da vivo, chi organizza convegni. E naturalmente chi predica lunità socialista mentre ne alimenta la diaspora.
Nellultimo anno, larcipelago socialista si è ulteriormente polverizzato. Per la prima volta, alle elezioni politiche si sono presentati i due figli di Bettino. Ma erano su sponde opposte: Stefania candidata da Berlusconi nella lista di Forza Italia, Bobo alleato di Prodi dopo aver divorziato dal Nuovo Psi di De Michelis e aver fondato I Socialisti. Lo Sdi si è presentato con i Radicali nella mai del tutto fiorita Rosa nel pugno, quel che rimaneva del Nuovo Psi con quel che rimaneva della Democrazia Cristiana di Gianfranco Rotondi. Bobo Craxi da solo. Ancorché irrobustite da radicali e democristiani, le tre liste socialiste hanno messo insieme un magro 3,6% di voti.
Sempre meno, sempre più irrilevanti. Eppure le famiglie socialiste non perdono occasione per contendersi ogni brandello delleredità craxiana. Nei circoli, tra i vecchi militanti, con le fondazioni, sui giornali. Anche nei tribunali, se necessario. Come accade proprio nei giorni della commemorazione di Bettino. Una storia emblematica, che racconta più di tante celebrazioni retoriche a cosa sia ridotto il socialismo italiano. E spiega meglio di tanti convegni quanto i desideri unitari sprofondino tra le minuscole rendite di posizione che ancora il garofano garantisce.
Accade in Calabria, una delle roccaforti del socialismo craxiano (negli anni 80, il Psi raccoglieva fino al 25%), dove lultima bega finisce in tribunale. Il Nuovo Psi ha denunciato alla Procura della Repubblica i «cugini» del partito di Bobo Craxi, I Socialisti. Gravissime le accuse: abuso dufficio e omissione di atti dufficio per aver abusivamente utilizzato il nome del partito in Consiglio regionale.
La storia comincia nel 2005, quando i due partiti sono ancora uniti nel Nuovo Psi. Alle elezioni regionali (aprile), la lista conquista tre seggi. Un consigliere passa subito allUdeur, ne restano due. A luglio, il congresso nazionale scatena la scissione. I due eletti calabresi seguono Bobo Craxi nella nuova formazione I Socialisti, abbandonando il Nuovo Psi. Eppure, nel Consiglio regionale, risultano ancora oggi componenti del gruppo Nuovo Psi, partito di cui non fanno più parte da sei mesi e che di fatto non ha più alcun eletto.
Gli esponenti calabresi del Nuovo Psi non ci stanno e iniziano a inviare diffide formali al Consiglio: «Bisogna ripristinate la legalità».
Ma non ottengono risposta. Alla fine, esasperati, qualche giorno fa hanno depositato due denunce alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti. Sollecitano lapertura di uninchiesta penale, chiedono la cessazione «delluso illegittimo del nome Nuovo Psi» e laccertamento di un «danno erariale ai danni della Regione».
Ma perché i due consiglieri, Leopoldo Chieffallo e Luciano Racco, pur avendo aderito a I Socialisti di Craxi, in Consiglio regionale continuano a stare sotto le insegne del Nuovo Psi di De Michelis? Semplice: perché altrimenti non potrebbero costituire un gruppo consiliare autonomo. Non ne avrebbero i titoli, difettando I Socialisti dei requisiti minimi previsti dallo Statuto: tre consiglieri o il 5% dei voti alle ultime elezioni o il collegamento con un gruppo parlamentare nazionale. E allora preferiscono restare «in affitto» nel Nuovo Psi e conservare uffici, aumenti di stipendio, segretarie particolari e contributi economici garantiti ai gruppi.
«La legge è chiara e non vi possono essere altre possibili interpretazioni di comodo per mantenere una situazione di evidente e netta illegittimità - scrive nella denuncia Adolfo Collice, commissario calabrese del Nuovo Psi. - Chieffallo e Racco non rappresentando più il Nuovo Psi, non possono utilizzarne né il simbolo né le prerogative di legge che da ciò consegue».
Ora se la vedranno in tribunale.
giuseppe.salvaggiulo@ilgiornale.it
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