Ebbene sì, a Seminara lo Stato ha perso

La ragazzina che ha avuto il coraggio di denunciare gli abusi subiti sta facendo le valigie per trasferirsi altrove insieme alla sua famiglia, poiché l'intera comunità rifiuta lei e i suoi familiari

Ebbene sì, a Seminara lo Stato ha perso

Leggo, disgustato, che «la gente di Seminara, dopo gli arresti degli aguzzini della figlia stuprata (tutti condannati con pene dai 5 ai 13 anni), ha voltato le spalle e isolato la famiglia della vittima dal resto della comunità»: una realtà che ha costretto i familiari della giovane a cambiare paese. Le domande sono: Seminara è un paese civile? Seminara è un'eccezione o una delle numerose realtà della Calabria di oggi? Se i «discepoli» della 'ndrangheta, come evidentemente sono gli abitanti di Seminara, hanno eletto questo sindaco quanto valgono le sue dichiarazioni di solidarietà per la vittima?

Roberto Bellia
Vermezzo con Zelo

Caro Roberto,
ebbene sì, è a Seminara che qualche anno fa due minorenni sono state stuprate dal branco. Sono intervenute delle condanne, ma questo non ha reso giustizia alle vittime. La ragazzina che ha avuto il coraggio di denunciare gli abusi subiti sta facendo le valigie per trasferirsi altrove insieme alla sua famiglia, poiché l'intera comunità rifiuta lei e i suoi familiari, in quanto ritenuti colpevoli di avere macchiato l'immagine e il decoro del paesino, la reputazione degli stupratori e il buon nome delle famiglie di questi ultimi. È incredibile ma accade che le vittime di violenze sessuali in Calabria debbano essere messe sotto scorta, come è successo, ad esempio, ad Anna Maria Scarfò, la quale vive sotto protezione dal 2010, in seguito alla scelta di denunciare i suoi aguzzini, che per anni l'hanno sistematicamente violentata passandosela come fosse un oggetto. Anche Anna Maria ha dovuto lasciare il suo paese, perché scartata dalla comunità, ingiuriata, perseguitata, minacciata. Sono storie che si ripetono: mediante una bizzarra e malata inversione dei ruoli, le vittime vengono fatte colpevoli. Sono state loro a turbare certi equilibri, sono state loro a non fare nulla per evitare quello che pure hanno subito, sono state loro a causare tanta sofferenza e vergogna, sono state loro a determinare gli arresti di uomini che, in fondo, non hanno compiuto nulla di male, perché la donna, in certi ambienti, è tuttora considerata «una puttana che ci stava, che ha provocato, che voleva». Sì, fa orrore tutto questo, ma corrisponde a realtà, che ci piaccia o meno, e io non intendo scadere nella logica del silenzio, rassegnarmi, come i calabresi che abitano certe zone, alla legge dell'omertà, che conduce a tacere, a fare finta di non avere visto, a schierarsi tacitamente dalla parte del più forte, del criminale, dell'assassino, dello stupratore, del mafioso. Sarebbe ora di rompere certi schemi, di insorgere contro certe consuetudini, di urlare contro certi crimini: non solo il delitto di stupro, ma anche il delitto posto in essere da tutti coloro che si scagliano contro l'abusata perché non si è sottomessa a quella regola non scritta che prevede che occorra abbassare la testa, assoggettarsi al potente, patire, rinunciare alla propria dignità in nome di un finto quieto vivere o in nome dell'accettazione sociale. Ed è così che una ragazza, i suoi fratellini e i suoi genitori stanno abbandonando un paese dove sono nati e cresciuti perché sarebbero addirittura in pericolo. Qualche giorno fa i carabinieri hanno notificato alla giovane un provvedimento straordinario e urgente attraverso il quale ella è stata informata che, a causa del disagio sociale generato dal risiedere in quell'ambiente divenuto ostile e per prevenire problemi di vario tipo e assicurare a lei e ai suoi congiunti di potere vivere in pace, è stato messo a disposizione un alloggio in un altro paese della Calabria. È stato il presidente della Regione Roberto Occhiuto ad attivarsi per realizzare tutto questo, ossia il trasferimento della ragazza e della famiglia mediante la concessione di un alloggio. Iniziativa lodevole, ok. Si voleva in tal modo dare un segnale forte: le istituzioni stanno dalla parte di chi denuncia e della vittima. Ma a me pare che sia stato lanciato un messaggio di resa totale ad una mentalità primitiva che prevede che sia la vittima a migrare, a nascondersi, a dovere scappare, e non i carnefici e i loro sostenitori. Io credo proprio che questa ragazza avrebbe dovuto restare dove sta e che non dovessero averla vinta quelli che hanno voluto ostracizzarla.

Quanto al sindaco, al di là delle dichiarazioni, delle manifestazioni, delle parole di vicinanza espresse nei confronti dell'abusata, dell'abbraccio simbolico alla sua famiglia e a lei, come da copione istituzionale, non so cosa dovrebbe fare. Immagino non sia facile fare il sindaco in simili habitat.

Forse, se fossi io primo cittadino di Seminara, mi opporrei al trasferimento della famiglia, mi farei suo baluardo, pretenderei da parte dei miei cittadini il rispetto per una donna che ha avuto il coraggio di squarciare quel pesante e insopportabile velo di silenzio che costringe i calabresi a piegare la testa e a permanere nelle acque stagnanti di una evoluzione civile, culturale, morale, umana, e di conseguenza anche economica, che risulta in stallo da sempre.

Lo Stato trionfa non quando alla vittima viene trovata una casa altrove, ma quando fa in modo che ella possa permanere dove sta. È un suo sacrosanto diritto.

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