
Confprofessioni, ha espresso forte preoccupazioni per le proposte legislative che mirano a ridefinire il ruolo dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta, trasformandoli in dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale.
Le parole del presidente
Marco Natali, presidente nazionale di Confprofessioni, durante la tavola rotonda dal titolo “Medici di famiglia: risorsa o ostacolo?” ha espresso il suo pensiero in merito: “La nostra posizione è chiara: riteniamo che una riforma di questo tipo non risolverebbe i problemi attuali, ma anzi priverebbe i cittadini della figura fiduciaria del medico di famiglia, una presenza centrale per la salute territoriale”.
Secondo Natali, le ripercussioni di una simile riforma sarebbero gravissime. “Concentrare i medici in 1.350 Case della Comunità, prevalentemente situate nei comuni più grandi, significa lasciare senza assistenza capillare migliaia di centri minori. Oggi esistono circa 60.000 studi di medicina generale distribuiti su tutto il territorio nazionale, inclusi i luoghi più remoti e disagiati. Eliminare questa rete significherebbe desertificare il territorio sanitario e rendere difficile, se non impossibile, l’accesso alle cure per milioni di anziani e persone fragili".
Niente precettazione dei medici
Natali ha poi aggiunto: "È evidente che alcune modifiche siano necessarie, ma ‘precettare’ i medici non migliora le prestazioni. È vero che esistono disomogeneità nei carichi di lavoro e che i giorni festivi rappresentano una criticità, con il conseguente sovraffollamento dei pronto soccorso. Tuttavia, una riforma efficace non può essere imposta dall’alto. È essenziale un confronto tra le parti per individuare soluzioni condivise, come l’impiego dell’intelligenza artificiale e la promozione di forme di aggregazione tra medici, che garantiscano una copertura più efficiente e un reale miglioramento del Servizio sanitario nazionale”.
La "pressione" quotidiana
Noemi Lopes, vicesegretario nazionale della Fimmg (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale), ha sottolineato che uno studio recente del ‘Cergas-Bocconi’ ha evidenziato come un medico di famiglia abbia mediamente 35 contatti diretti e 70 indiretti al giorno con i pazienti. “Questi numeri danno un'idea chiara dell'intensità del lavoro quotidiano. L'attività ambulatoriale per le visite programmate si somma a quella per le visite urgenti, all’assistenza domiciliare, al lavoro nelle RSA, all’espletamento della burocrazia, ai contatti telefonici con i pazienti, alla diagnostica di primo livello e alle campagne vaccinali. Complessivamente, queste mansioni superano di gran lunga le 38 ore settimanali previste per i dipendenti pubblici”.
il "piano economico"
Carmen Colangelo, revisore di Confprofessioni, ha evidenziato gli enormi effetti negativi di una riforma che trasformi i medici di medicina generale in dipendenti pubblici. “I medici di medicina generale, come liberi professionisti convenzionati, generano un volume d’affari di circa 7 miliardi di euro, che salgono a 16 miliardi considerando l’indotto e le ore di lavoro effettivamente svolte. La chiusura di migliaia di studi comporterebbe non solo la perdita di queste risorse, ma anche il licenziamento di almeno 30.000 collaboratori amministrativi e 10.000 infermieri. Inoltre, questi studi sostengono enti bilaterali, contratti collettivi e sistemi di formazione che verrebbero smantellati”.
Alle sue parole si sono aggiunte quelle di Alessandro Dabbene, vicesegretario nazionale della Fimmg che ha sottolineato la necessità di migliorare l’organizzazione dell’assistenza sanitaria territoriale piuttosto che rivoluzionare il sistema con un’imposizione burocratica. “Bisognerebbe dotare tutti i medici di famiglia di personale amministrativo e infermieristico, favorendo il lavoro in team all'interno delle medicine di gruppo. Già oggi più di un terzo dei medici lavora in maniera sinergica, e queste realtà sono le più solide. Il lavoro in gruppo consente una gestione condivisa dei pazienti, una maggiore efficienza organizzativa e una migliore qualità della vita per pazienti e medici”.
Lavorare in team
Secondo Dabbene, il lavoro in team riduce il rischio di abbandono della professione, sempre più frequente a causa delle condizioni di lavoro insostenibili. “L'attuale Convenzione già oggi pone le basi per un nuovo livello di organizzazione, che garantirebbe un salto di qualità nell'assistenza, sia nella rete degli studi dei medici che nelle Case della Comunità, per le quali è già previsto un impegno orario da parte dei medici di famiglia”.
La proposta di Confprofessioni
Invece di introdurre una riforma basata su un modello che rischia di compromettere l'assistenza territoriale, Confprofessioni propone di potenziare l’attuale sistema con interventi mirati e sostenibili. “Dobbiamo sviluppare ulteriormente il modello esistente, incentivando il lavoro di gruppo e migliorando l'organizzazione delle risorse. Avanzare proposte dannose e distruttive, basate sulla narrazione di stereotipi, non aiuterà a risolvere i problemi, ma anzi li aggraverà”, ha concluso Dabbene.
Il grosso rischio
L’eventuale trasformazione dei medici di medicina generale in dipendenti pubblici rischia di accentuare la carenza di medici e ridurre la qualità del servizio.
Il tema resta al centro del dibattito politico e professionale, ma la soluzione potrebbe non essere una rivoluzione radicale, bensì un miglioramento progressivo dell'attuale sistema, con investimenti mirati e una maggiore valorizzazione del lavoro dei medici di famiglia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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