Il sogno di Manuzio: dare alle stampe la libertà

Nel romanzo di Javier Azpeitia rivive l'epopea dell'umanista che ha (re)inventato l'editoria

Il sogno di Manuzio: dare alle stampe la libertà

La grande rivoluzione che ha cambiato per sempre il modo di comunicare? No, non è stata internet, è stata la scrittura. La seconda grande rivoluzione che ha moltiplicato il potere della scrittura? No, di nuovo non si tratta della Rete ma della stampa. A partire dalla metà del Quattrocento (non sapremo mai davvero se la Bibbia di Gutenberg del 1453 è stato il primo vero libro creato con caratteri mobili) questa nuova tecnica moltiplicò, all'improvviso, la possibilità di creare copie di un testo. Un amanuense poteva metterci anni a copiare una Bibbia. Uno stampatore nello stesso tempo poteva crearne centinaia e centinaia.

E infatti nel giro di un cinquantennio la stampa invase l'Europa. Nel 1469 a Venezia c'era già il primo torchio. Nel 1500 nella città, molto libera quanto a censura e sempre aperta verso i nuovi affari, si contavano già 417 tipografie. Ma a fare la rivoluzione libraria non sarebbe mai bastata la tecnologia da sola. Serviva anche una nuova cultura del libro. I libri medievali erano enormi, miniati, pensati per essere letti ad alta voce. Molto diversi dall'oggetto che conosciamo oggi e molto diversi dai desiderata degli umanisti, tutti impregnati di una nuova temperie. Più libera, vogliosa di riscoprire i classici rinchiusi nelle biblioteche dei monasteri, decisa ad avvicinarsi anche ad autori ritenuti sulfurei dall'autorità religiosa.

L'uomo capace di trasformare queste nuove esigenze in oggetti di carta fu, infatti, un umanista che ebbe la folle idea di trasformarsi in umanista/tipografo: Aldo Manuzio (1452?-1515). Nato nel borgo laziale di Bassiano, Manuzio aveva svolto studi di grammatica latina a Roma e greca a Ferrara con Guarino da Verona. Ebbe come compagno di studi, proprio a Ferrara, il geniale Pico della Mirandola che poi lo favorì, introducendolo alla corte di Carpi come tutore di Alberto III Pio. Alberto Pio si legò moltissimo al maestro, fu lui a fornire ad Aldo i capitali per recarsi a Venezia attorno al 1490 e dar vita ad una mirabolante impresa editoriale. In pochi anni dai torchi della società creata da Manuzio con lo stampatore Torresani germinò una rivoluzione culturale. Edizioni in greco, tutto Aristotele in 5 volumi tra il 1495 e il 1498, pubblicazione di testi in latino di altissima qualità, che si avvalevano della collaborazione di umanisti della levatura di Erasmo da Rotterdam. A partire dal 1501 libri in ottavo e scritti in corsivo, per l'epoca un incredibile formato «tascabile». E Aldo si mostrò anche geniale nell'inventare il modo di evitare critiche e censure. Pubblicò il temutissimo De rerum natura di Lucrezio grazie ad una prefazione in cui spiegava di quanti errori fosse ripieno questo testo epicureo, che era il caso di leggere «a confutazione». Ma intanto aveva trovato il modo di metterlo in mano ai ghiotti lettori...

Sin qui la storia dell'editoria, ma è una storia piena di vuoti, come è inevitabile. Davvero Manuzio riuscì a realizzare del tutto il suo progetto editoriale? E com'era la vita in quell'incredibile stamperia dove commercio e cultura si scontravano di continuo? È su questi temi che lavora di fantasia lo scrittore spagnolo Javier Azpeitia, che è anche un esperto filologo. Il Manuzio immaginario descritto da Azpeitia in Lo stampatore di Venezia (Guanda, pagg. 366, euro 19,50, trad. di Pino Cacucci) si muove in una Venezia dove il desiderio di far rivivere la letteratura classica, soprattutto quella epicurea, si scontra con volontà conservatrici e calcoli meramente economici. E sulla scena non passano solo Aldo ma molti altri personaggi storici, Pico della Mirandola, il geniale disegnatore di caratteri Francesco Griffo, Girolamo Savonarola... Il risultato è un romanzo storico molto concettuale e con poca cappa e spada, ma davvero attento al dettaglio e all'attendibilità di ogni descrizione e personaggio. Un romanzo molto letterario, il cui protagonista, un Manuzio pensoso e malinconico, è l'emblema di chi è disposto a sacrificare tutto per la cultura. Al contempo però è anche un racconto molto ironico sui limiti dell'intellettuale. Il fragile Manuzio fa i conti con la violenza del Rinascimento, con la nuova voglia di profitto che travolge tutto e ne resta scottato.

Un dolore che Azpeitia mette tutto nelle ultime pagine del libro nell'orazione funebre per lo stampatore, che pronunciò il dotto Raffaele Regio (ma probabilmente fu di un tono diverso da quella che gli mette in bocca Azpeitia). Di sicuro il funerale di Aldo si tenne nella chiesa di San Paternian, il corpo era adagiato tra i suoi libri. I libri erano in vendita, lo erano sempre.

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