Soldi&società Se l’illegalità costa all’Italia più della casta

Nell’introduzione al suo Soldi rubati (Ponte alle Grazie, pagg. 332, euro 14,60) la giornalista Nunzia Penelope snocciola dati angoscianti: «Ogni anno in Italia abbiamo 120 miliardi di evasione fiscale, 60 miliardi di corruzione, e 350 miliardi di economia sommersa, pari ormai a quasi il 20 per cento della ricchezza nazionale. Varrebbe la pena di aggiungere gli oltre 500 miliardi nascosti da proprietari italiani nei paradisi fiscali e su cui non si pagano tasse». L’autrice cita poi l’economista Loretta Napoleoni: «L’Italia ha retto la crisi meglio degli altri Paesi proprio perché poteva contare su una gigantesca fetta di economia sommersa. Il fatto è che quell’economia illegale ormai siamo tutti noi».
Invitiamo a leggere Soldi rubati proprio per la frenesia morale con cui accumula numeri inoppugnabili, percentuali e statistiche, con lo scopo di dare al lettore una consapevolezza definitiva (rivoluzionaria?) di come questa economia nascosta - a tutti gli effetti capace di influenzare senza mezzi termini quella «ufficiale» - gravi su ciascuno di noi in modo depressivo e profondamente ingiusto: l’effetto «corruzione più debito pubblico» genera una tassa occulta che pesa per 35mila euro l’anno su ogni italiano, compreso quelli che non ne hanno corresponsabilità alcuna. I lavoratori dipendenti, per esempio, impossibilitati all’evasione, hanno pagato solo per questo 850 miliardi di tasse in più negli ultimi 30 anni.
Capitolo dopo capitolo - «Una repubblica fondata sul lavoro. Nero», «Colletti bianchi, profitti neri. La faccia pulita del riciclaggio», «Recuperare il bottino. Se la Giustizia diventa un bancomat»... - sarà difficile per il lettore non prendere in considerazione una qualsiasi forma di disobbedienza civile alla Thoreau, se non di rivolta tout court, tanto evidenti sono i crimini di cui viene a conoscenza. Tuttavia: c’è nell’animo del Belpaese una tensione spirituale capace di vibrare davanti a tale illegalità? L’autrice se lo chiede, e risponde: «Gli italiani non sembrano impensieriti da questo stato di cose, forse non ne hanno l’esatta percezione, o forse, con rassegnato fatalismo, pensano che così è e basta». C’è del vero: gli italiani, come diceva Mussolini, si sono sempre arrangiati con il più basso livello di autogoverno. Purtroppo oggi la feroce competizione economica su scala mondo rende questo escamotage italico più fragile e meno versatile di ottant’anni fa, mentre la cecità operativa di istituzioni come Equitalia «tosa» più le vittime di un fisco sempre meno liberale che i veri colpevoli dello sfacelo.
Infine, un piccolo appunto all’autrice. Spiegare che «con i 60 miliardi annui che scompaiono in corruzione si potrebbe regalare agli italiani una vacanza gratis alle Maldive ogni anno», può essere rischioso.

È vero che è una battuta, ma qualcuno potrebbe scambiarla per un’«uscita» demagogica. Di segno opposto a quella di Antonio Albanese/Cetto La Qualunque, citato nel libro, ma sempre demagogica. Le rivoluzioni, anche quelle fiscali, non sono mai scoppiate per moralismo.

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