Ci fosse un premio per la sintesi, a Salvatore Buzzi andrebbe il Nobel. «Speriamo in un anno pieno di monnezza, profughi, immigrati, sfollati, minori e magari con qualche bufera di neve». È tutto qui, nell'sms spedito dall'uomo delle cooperative rosse, arrestato a Roma nell'inchiesta su «Mafia capitale», che con la sua onlus «29 giugno» aveva messo le mani (anche) sul grande affare dell'immigrazione. Avidità e cinismo. Un po' come quell'«io ridevo stamattina alle 3 e mezzo dentro il letto», detto dal conte-palazzinaro Francesco De Vito Piscicelli al pensiero dell'Aquila rasa al suolo dal sisma del 2009, mentre altri sciacalli si organizzavano per spartirsi i denari della ricostruzione mettendo in piedi un finto network del volontariato. Eccolo, il Paese dei profittatori. Ad ogni tragedia il suo avvoltoio. Perché terremoti, alluvioni, disastri naturali ed emergenze umanitarie hanno un denominatore comune: chiamano soldi. Tanti. Montagne di euro che viaggiano sull'onda emotiva del dramma. Non c'è limite alla rapacità. Basta aspettare la catastrofe giusta.
Lo sanno all'Aquila, dove hanno contato i danni, i morti e i milioni spariti: nove, come quelli che costarono i domiciliari all'ideatore e al vicepresidente della «Fondazione Abruzzo Solidarietà», rete di finte onlus nata in seno alla curia aquilana. Pure il vescovo ausiliare Giovanni D'Ercole finì indagato. «Non sono un intrallazzatore», disse il presule quando gli schizzi dello scandalo finirono per imbrattargli l'abito porporato. Alla fine D'Ercole venne prosciolto, e dichiarò di voler continuare «a lavorare per l'Aquila e per tutti gli aquilani». I quali, forse, ebbero qualcosa da obiettare quando i magistrati del capoluogo abruzzese aprirono una nuova inchiesta sulla ricostruzione, ipotizzando che la chiesa aquilana - ancora una volta dietro la spinta dell'onnipresente D'Ercole - avrebbe tentato di ottenere dalla presidenza del Consiglio dei ministri (pur senza riuscirci) un decreto che la «promuovesse» a soggetto attuatore, per appaltare direttamente i finanziamenti pubblici.
Ma l'irresistibile fascino del terremoto non ha confini, e quello che distrusse Haiti ormai cinque anni fa portò in carcere Bernardino Pasta detto «Dino», o anche «il Madoff delle onlus». Pasta, titolare di una società di investimenti specializzata in consulenze finanziarie a enti religiosi e di beneficenza, nel 2011 venne accusato di aver truffato alcune organizzazioni non profit facendo sparire 9 milioni di euro destinati ai bambini dell'isola caraibica. E che invece sarebbero finiti nei conti correnti di Pasta e dei suoi soci, in immobili e auto di lusso.
Ma all'ingordigia dei senza-vergogna non sfuggono nemmeno le alluvioni - truffe messe in piedi attraverso finte associazioni di volontariato sono state scoperte di recente in Sardegna, in Liguria e in Lombardia, dopo le violente piogge che hanno flagellato l'Italia lo scorso autunno - e le cicliche emergenze-immigrazione. Particolarmente redditizia, infatti, è la gestione dei rifugiati politici. A Roccagorga, piccolo comune laziale in provincia di Latina, i carabinieri trovarono 46 profughi libici ammassati come animali in poche decine di metri quadrati. La onlus e la cooperativa che si occupavano di fornire assistenza ai migranti riceveva dalla Regione Lazio 42 euro al giorno per ogni «ospite», salvo spenderne soltanto 5 per un piatto di riso e un metro quadro di pavimento su cui dormire. La differenza, ovviamente, era una colossale cresta.
Nella storia del Paese, però, uno dei più clamorosi torti alla generosità degli italiani ha il nome allegro della speranza: «Missione arcobaleno». Così la battezzò l'allora premier Massimo D'Alema. Un'irripetibile corsa alla solidarietà con il Kosovo, martoriato dalla guerra che negli anni Novanta insanguinava la Jugoslavia. Vennero raccolti più di cento miliardi di lire. Poi un giorno si scoprirono i container di aiuti fermi al porto di Bari, i registri contraffatti, le irregolarità nella gestione dei fondi, le connivenze con la malavita albanese. E oltre al danno, la beffa. «Missione arcobaleno» non era stata trasformata in onlus, così come venne promesso all'inizio.
Così, gli italiani che diedero un contributo non poterono detrarre gli importi versati. La perdita per i contribuenti fu calcolata tra i 25 e i 50 miliardi di lire.Una brutta sorpresa. Che ancora una volta lo Stato ci avesse perso la faccia, invece, non sorprese nessuno.
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