Somalia, nave italiana cattura nove pirati

È stato un colpo di Maestrale, un’azione rapida come il vento che, in un’ora, ha messo fine ad un assalto e consentito la cattura di nove pirati impegnati nell’abbordaggio di una nave da 30mila tonnellate. Quei nove prigionieri per la prima volta nelle mani della nostra Marina rischiano però di trasformarsi in uno spinoso caso giuridico internazionale. Come spiega al Giornale l’avvocato inglese Stephen Askins, uno dei massimi esperti internazionali di diritto e pirateria: la Procura di Roma, i nostri comandi e quelli della missione europea Atalanta devono decidere se i nove pirati vanno trasferiti in Italia e processati, affidati a un Paese terzo o più semplicemente liberati.
L’unica certezza, nel frattempo, è la tempestività dell’intervento della nostra fregata impegnata nel pattugliamento delle acque somale nell’ambito di Atalanta, la missione anti pirateria dell’Unione Europea. Tutto inizia alle 9 di mattina quando una lancia con nove pirati attacca una nave greca a colpi di razzi anticarro. Le richieste d’aiuto vengono raccolte dalla fregata Maestrale in navigazione lungo uno dei «canali di sicurezza» protetti dalla missione europea. Nel frattempo però i pirati avvistano la Maria K, un bestione da 30mila tonnellate di stazza, lungo più di 177 metri, e si lanciano all’assalto di quel gigante dei mari di proprietà liberiana e bandiera caraibica delle Saint Vincent e Grenadine. Il cambio d’obbiettivo regala tempo prezioso al Maestrale, distante meno di 20 miglia nautiche.
Mentre ordina il decollo di uno dei due elicotteri Ab 212 in allerta sul ponte il comandante Angelo Virdis dà l’avanti tutta alla sala macchine e attiva il distaccamento dei fanti di marina del reggimento San Marco presenti a bordo. L’Ab 212 è sull’obbiettivo in pochi minuti. Là sotto la Maria K, bersagliata dai colpi di kalashnikov, manovra per creare l’effetto onda e tener alla larga i pirati. L’intervento decisivo spetta però al nostro elicottero. Dopo la prima raffica di avvertimento del mitragliere i pirati buttano in mare kalashnikov e lanciagranate, bloccano i motori e alzano le mani. In meno di un’ora, grazie ai 30 nodi di velocità massima, la Maestrale è abbastanza vicina da mettere in mare due gommoni e un barchino con la squadra del San Marco. A quel punto non c’è bisogno di sparare un solo colpo. I pirati accettano il trasferimento sulle nostre imbarcazioni mentre i fanti di Marina ispezionano la lancia recuperando l’unico kalashnikov rimasto. Quella distrazione e le riprese effettuate dall’elicottero potrebbero trasformarsi in elementi di prova in caso di processo per pirateria.
In attesa dell’imminente interrogatorio in video conferenza del Gip di Roma indispensabile per trasformare in arresto il fermo dei nove bisognerà capire se il nostro Paese o l’Unione Europea abbiano voglia di rischiare un caso internazionale per processarli e sbatterli in galera.
Secondo l’avvocato inglese Stephen Askins, un ex ufficiale dei Royal Marines congedatosi nei primi anni Novanta e diventato uno dei più apprezzati consulenti giuridici internazionali per i casi di pirateria, la questione ha tre vie d’uscita. «L’Unione europea quando ha avviato la missione Atalanta – spiega Askins al Giornale - ha stipulato un accordo con il Kenya per la consegna dei pirati. Ma il Kenya non è considerato il massimo per il rispetto dei diritti umani e questo potrebbe costarvi l’accusa di scarsa attenzione per la sorte dei prigionieri.

D’altronde, prima di portarli in Italia dovrete capire se il vostro diritto prevede un’incriminazione per atti di pirateria e valutare le prove che avete in mano. Se nessuna di queste vie è percorribile, la soluzione più semplice dal punto di vista politico e legale sarà quella di un’immediata liberazione».

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