Gabriele Villa
nostro inviato a Erba (Como)
«Resterò in Italia finché non avrò visto in faccia quegli assassini, finché non saprò la verità su quello che è successo lunedì sera. Io non ho paura, non ho paura di nessuno. Se qualcuno ce l'ha con me, se qualcuno vuol farmela pagare io dico che sono qui, sono in giro per strada. Se vogliono beccarmi possono farlo. Io non ho nulla da nascondere, e la mia verità, quello che so, l'ho raccontata ai carabinieri».
È il giorno più lungo di Azouz Marzouk, il giovane tunisino rientrato precipitosamente dalla sua terra, dopo che uno o più assassini, lunedì sera, gli hanno annientato a coltellate la famiglia, accanendosi con una furia selvaggia sulla moglie Raffaella, sul loro bambino Youssef, sulla suocera Paola e su due vicini di casa, colpevoli soltanto di essersi trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato. Cambia volto, espressione, persino atteggiamento Azouz nel suo giorno più lungo. È a pezzi, prostrato dalla stanchezza e dalla tensione alle tre di notte, quando fa rientro nella casa dei parenti in via Cavour, a Merone, dopo le due ore di interrogatorio a Como, cui gli investigatori l'hanno sottoposto appena ha rimesso piede in Italia. È muto, lo sguardo assente quando esce dall'obitorio, dopo il pietoso rito del riconoscimento dei suoi cari e riesce solo a balbettare: «È un grande dolore, una cosa terribile. Adesso voglio solo che abbiano un bel funerale...».
Tiene la testa bassa e nasconde lo sguardo dietro gli occhiali scuri, griffati, quando, fuori dalla cascina dell'orrore, dopo il sopralluogo in compagnia dei carabinieri nella casa di ringhiera di via Diaz a Erba dove viveva con la giovane moglie, cerca invano di sfuggire all'assalto di fotografi e giornalisti. E mormora: «Che cosa hanno fatto? Perché l'hanno fatto? Sono animali, soltanto gli animali uccidono così. Si sono persino accaniti con i nostri vicini, persone straordinarie come ce ne sono poche in giro. Io non capisco, non riesco a capire. È bruciato tutto, non mi è rimasto nemmeno un oggetto, una fotografia di Raffaella. E del mio bambino mi resta solo l'ultimo ricordo, un morso che mi ha dato al braccio quando l'ho salutato prima di partire per la Tunisia...».
Diventa particolarmente ciarliero, fin troppo sicuro di sé quando, stretto nel suo giaccone nero, proclama a gran voce la sua estraneità ai fatti: «Qualcuno mi aveva fatto diventare già un mostro, un serial killer solo perché, è vero, sono stato in carcere. Ma anche in quella vicenda nessuno mi aveva creduto e così ho pagato. Quello che era con me, il vero colpevole in quella storia di droga ha patteggiato, e invece a me mi hanno inchiodato. Adesso questi delitti. Io non c'entro, non c'entro nulla, perché non ho nemici. Anzi mi viene in mente che tre mesi fa qualcuno ha tentato una rapina nella villa dei miei suoceri. Forse è con la famiglia Castagna che ce l'hanno. Forse è qualcuno che ha voluto vendicarsi contro di loro...». Un improvviso ribaltamento di fronte, dunque. Una «lettura» sconcertante di quanto è accaduto, quella di Azouz Marzouk, che verrà più tardi ribadita da suo fratello Fahmi.
In questa storia dai confini labili, sempre più labili, una pista in più, offerta agli inquirenti. Buttata lì con disinvoltura forse eccessiva. Forse perché proprio le uniche certezze sembra averle solo lui, Azouz: «...Lunedì sera mi ha avvisato una zia, al telefono mi ha parlato di un incidente, poi ho capito, è stato terribile. Ma io vado in giro tranquillo, continuerò ad andare in giro tranquillo anche perché le cose tra me e Raffaella non stavano come ho visto scritto sui giornali. Andavamo d'accordo. Volevamo anche avere un altro figlio, ma soprattutto avevamo deciso di andare tutti e tre a vivere a Zaghouan, il mio paese, in Tunisia e a giugno ci sarebbe stata una gran festa per la circoncisione del bambino. Raffaella mi aveva detto di sì, convinta. Anche perché, con i miei fratelli, avevamo un progetto.
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