Gian Micalessin
da Busher (Iran)
Lantico porto della Compagnia delle Indie è un mortorio afoso in una distesa rovente di stoppie, sabbia e sassi. Ma lì, appena oltre lultima casa, è già zona rossa. Una strada corre tra altane dei pasdaran e mitraglie puntate al cielo. Unaltana ogni chilometro, una mitraglia su ogni altura e sulle piazzole di cemento disseminate ai bordi della strada e nella pianura. I soldati sono già al loro posto. Pronti a sparare. I radar battono il cielo come se gli aerei con la stella di Davide o le stelle e strisce fossero già lassù. Non è ancora guerra. È come se lo fosse. Lei è lì, adagiata sul mare, moderna moschea del dio nucleare. La cupola blindata aspetta solo le prime barre duranio, il camino, alto nel cielo come un futuristico minareto, attende il primo sputacchio di vapore.
«Se tutto andrà bene dovremmo iniziare il ciclo produttivo alla fine del 2006», dice Asadullah Sabouri, vicepresidente della commissione per lEnergia nucleare iraniana. Dunque il progetto nucleare iraniano è dietro langolo. Dalla centrale di Busher, secondo Stati Uniti e Israele, potrebbe uscire linnesco per il primo ordigno nucleare della Repubblica islamica. Qui un mancato controllo, un trucco non calcolato, potrebbe aprire la strada a una nuova proliferazione atomica. «Qui - dice lui - non abbiamo nulla da nascondere. Tutto verrà fatto sotto gli occhi dellAgenzia internazionale per lenergia atomica. I russi ci forniranno il combustibile nucleare, e noi restituiremo loro luranio esaurito. Tutto sarà controllato dai tecnici e dalle telecamere dellAiea. Il primo lotto di combustibile per circa 80 tonnellate è già pronto e potrebbe arrivarci alla fine di questanno».
Inevitabile chiedersi, allora: se il combustibile arriverà dalla Russia, perché lIran ha cercato di produrre uranio arricchito acquistando centrifughe e altra tecnologia proibita sul mercato clandestino? Una mossa che ha innescato quel complesso contenzioso internazionale punteggiato dalle minacce israeliane di bombardare la centrale, dalle accuse americane di voler produrre armi nucleari al tentativo europeo di trovare una soluzione pacifica.
Ora lingegner Sabouri ha il sorriso tirato di chi si avventura su un terreno minato. «Qui parliamo di decisioni politiche, ma il concetto di fondo è che il nostro Paese intende conquistare la piena autonomia energetica. Il contratto con la Russia per la fornitura di 30 tonnellate duranio allanno dura solo dieci anni. Dopo cosa faremo? La popolazione aumenta e per noi è più conveniente vendere il greggio piuttosto che usarlo per produrre energia. Per questo vogliamo raggiungere la piena indipendenza».
Oltre i cancelli del tempio dellenergia, il sogno nucleare ridiventa terreno. Anzi, quasi obsoleto. Nellenorme parallelepipedo di cemento della turbina due iraniani e cinque russi sudano attorno a unenorme tubatura spinta a spalla nellimmenso corridoio. I bulloni grossi come pugni, le valvole dacciaio, i tubi saldati a vista, il reticolo di abnormi tubature ti parlano di macchinari e tecnologie obsolete, rispolverate dai magazzini della vecchia Unione Sovietica. Qui il nucleare diventa banale come la dinamo che accende la lampadina di una vecchia bici. Il vapore arroventato dalluranio radioattivo precipita in una turbina, la fa girare, muove il generatore. Poi Ibrahim Zadeh, tecnico trentaquattrenne mandato a raccontarci il lavoro di mille russi e di mille altri suoi concittadini, ci accompagna nel sancta sanctorum del tempio. È la cupola del reattore, il tabernacolo dellenergia. «Abbiamo questa e unaltra, inizieranno a lavorare assieme», spiega mentre ti guida sotto la cupola sigillata da un metro e mezzo di cemento e da sei blindature dacciaio da 30 centimetri luna. In mezzo è già pronto il sigillo del reattore. Per lui è come se fosse uno scaldino. «Ci infileremo dentro le barre, e quando il ciclo inizierà lacqua scorrerà dentro e innescherà un generatore per il vapore della turbina».
Lo racconta come fosse un gioco, come fosse il forno del panettiere da accendere. Come se le minacce di Israele fossero solo uno scherzo lontano. Gli chiedo se ne ha sentito parlare. Ibrahim si liscia i baffi, alza le mani verso la cupola di cemento.
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