Oggi per tirare calci a un pallone, ma vale lo stesso se si sogna di diventare prima ballerina della Scala, «va allenata prima la mente e poi il fisico». Lucia Chiarioni, psicologa psicoterapeuta, lavora da anni - con cicli di incontri e sportelli dedicati - al fianco di atleti e allenatori per il Monza Rugby femminile e per il Football Club Enotria di Milano, scuola calcio d'élite riconosciuta dalla Figc.
Dottoressa Chiarioni, come si fa a dare una calmata ai genitori ultrà?
«Aiutiamo a far capire che, specie davanti a bambini che hanno meno di 10 anni, è importante distinguere la performance agonistica dall'aspetto ludico in sé».
Le pressioni cominciano presto.
«La selezione naturale nelle categorie giovanili è già severissima, non occorre aggiungerci il carico...».
I genitori a bordo campo sono delle presenze ingombranti?
«Tutti i bambini desiderano essere seguiti e accompagnati dai propri genitori. A patto che questi non si concentrino solo sul gesto tecnico, sulla prestazione e sul risultato. Altrimenti si sviluppa una sorta di rigetto. Ci sono bambini che arrivano a rifiutarsi di scendere in campo se sugli spalti c'è il papà (o la mamma)».
E quando bisogna dire addio al sogno di diventare un campione?
«È il momento più delicato per i ragazzi. Bisogna comunicare un messaggio positivo: D'accordo, non diventerai un calciatore professionista, ma potrai continuare a giocare se lo vorrai. La sconfitta oggi è un tabù: si tratta di elaborare un lutto».
Addirittura?
«In senso sportivo, certamente. A subire il contraccolpo peggiore, spesso, sono i genitori. Dopo aver investito così tanto tempo e denaro nell'attività di un figlio, pensando anche a una realizzazione nella vita adulta, lo vivono come un fallimento».
Ci siamo dimenticati della scuola. Quale posto occupa oggi nelle aspirazioni di genitori e figli?
«A volte capita che venga messa in secondo piano. Ci sono padri e madri che si sostituiscono ai figli, facendo i compiti al posto loro, quando tornano esausti dagli allenamenti».
Lo si fa per proteggerli, no?
«Ma così finiscono per fare un danno
peggiore. Gli studi restano fondamentali, sono la ciambella di salvataggio nel caso in cui non si riesca a sfondare nello sport. Sui libri si diversifica il rischio. E l'epoca degli sportivi ignoranti è finita da un pezzo».GSu
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