Uno sparo a senso unico

Mercoledì sera ho assistito, con grande disagio, al confronto tra l’ex carabiniere Mario Placanica e il padre di Carlo Giuliani nella trasmissione televisiva Primo piano. Placanica, un giovanotto goffo, insicuro e pingue, ha confermato, cinque anni dopo la tragedia di piazza Alimonda, d’aver sparato in aria e non contro Carlo Giuliani che aggrediva la camionetta dei carabinieri. Ma ha anche rivelato circostanze sempre taciute. Ha espresso la probabilità che altri, all’esterno della camionetta, avesse fatto fuoco contro Giuliani. Ha raccontato che quel giorno, al rientro in caserma, fu festeggiato con un «benvenuto tra gli assassini» e altre beceraggini.
Quanto a Giuliani padre, gli andava bene l’ipotesi di uno o più sparatori da aggiungere a Placanica, non gli andava bene invece l’idea che il carabiniere avesse sparato in aria. La pistola, ha ribadito, era ad altezza d’uomo. Quanti erano, allora, i pistoleros? Giuliano Giuliani ha chiesto insistentemente, per una verifica delle circostanze in cui il figlio fu ucciso, un processo pubblico - la giustizia ha già indagato e concluso per l’archiviazione dell’accusa d’omicidio a Placanica - e una commissione d’inchiesta parlamentare. Sul che sono d’accordo sia Giovanni Russo Spena di Rifondazione, sia il segretario del Pdci Oliviero Diliberto (secondo cui «ci sono state pesanti intromissioni nelle indagini per cui è difficile capire cosa sia veramente successo»), sia l’impulsivo ed erratico Francesco Cossiga, sia il conduttore di Primo piano Maurizio Mannoni. Chiudendo il programma, Mannoni si è augurato che la Commissione d’inchiesta ci sia, che un nuovo processo ci sia, che sia finalmente accertata la verità nascosta. Con sobria perentorietà il Procuratore capo di Genova Francesco Lalla ha chiarito che le dichiarazioni di Placanica «non contengono novità che comportino la riapertura delle indagini».
Gli do ragione. La verità non è per niente nascosta, e ogni persona di buon senso l’ha afferrata fin dal primo momento. Bastava guardare Placanica, in patetico imbarazzo mentre veniva a sua volta guardato dalle telecamere, per immaginare con facilità la dinamica dell’episodio. Manifestanti violenti assediano la camionetta dei carabinieri nella quale è con due commilitoni questa recluta inesperta. Ritenendosi in pericolo grave Placanica spara, e colpisce quel Giuliani che imbracciava un estintore, con l’evidente intenzione di scagliarlo contro gli uomini dell’Arma. Tutto qui, fine del discorso.
Ma questa versione è troppo semplice e ovvia. Bisogna cercare la trama, il mistero. Vengono purtroppo reclutati, a questo scopo, i genitori di Carlo Giuliani, che avevano sempre considerato quel figlio sbandato il cruccio della loro vita, e che adesso lo accreditano come simbolo di supremi ideali. Heidi Giuliani, la madre, è senatrice e chiede una scorta a protezione di Placanica, che «rischia grosso». Per mano di chi? Secondo ogni evidenza per mano dei carabinieri. Il padre è incappato in contraddizioni e inverosimiglianze flagranti. Non ammette che Placanica abbia sparato in alto e nello stesso tempo sostiene che il figlio Carlo è stato raggiunto da un proiettile non in dotazione normale, e dunque non proveniente dalla pistola di Placanica. Tanto che qualcuno, per nascondere questa circostanza, avrebbe fracassato con una pietra la testa del povero morto.
Non una prova, né Mannoni ha mosso obbiezioni a quanto veniva raccontato o lasciato sospettare. Gli piacerebbe, sembra, che il pubblico denaro venisse profuso per una inutile commissione d’inchiesta su una tragedia i cui contorni appaiono evidenti: lo sono anche se Placanica, mettendosi al livello d’un Pelosi qualsiasi, riacquista d’improvviso la memoria di fatti inediti a distanza di anni dai fatti stessi. Il dialogo Placanica-Giuliani si è svolto, sotto la protezione compiacente di Mannoni, senza che uno degli inquirenti o un rappresentante dell’Arma potesse correggere almeno le fandonie palesi.
S’è già gridato e ancora si griderà all’obbrobrio per i festeggiamenti con cui Placanica sarebbe stato accolto dopo l’uccisione di Giuliani: festeggiamenti da lui stesso rievocati. Se veramente questo è avvenuto dobbiamo definirlo - nonostante l’eccitazione e la rabbia d’una giornata di tumulti - una intollerabile dimostrazione di brutalità e di insensibilità.

Vorremmo tuttavia che ci fossero risparmiati i sermoni virtuosi e le intemerate furiose degli intellettuali e dei politici felici di accogliere nei loro salotti, con reverenziale rispetto, i militanti di Lotta continua che brindarono dopo l’assassinio del commissario Calabresi. Non un luttuoso incidente durante scontri di piazza ma un crimine premeditato.

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