Lo "Spasimo" di Raffaello era nudo senza la cornice

Il recupero della splendida struttura in marmo consente di vedere l'opera nella sua interezza

Lo "Spasimo" di Raffaello era nudo senza la cornice

Raffaello nel 1516 dipinge il cosiddetto Spasimo,che è la sua più grande tavola,prima della Trasfigurazione,e poi la manda in Sicilia con avventurose peripezie. E,finalmente ,quando l'opera arriva, trova l'altare che l'accoglie. E se l'avventura della ricerca storica è fatta anche di suggestioni, io ho immaginato che Raffaello avesse allegato il disegno di come voleva quell'altare. Tra l'altro è realizzato nel tempo della vita di Raffaello, che mai lo vide insieme al suo dipinto, tra 1516-19. Come se avesse raccomandato: «Io vorrei due colonne romane, solenni, per stabilire il nesso fra architettura e pittura».

Io lo credo. È forse il sogno di un critico. E non perché non sia sufficiente il nome di Antonello Gagini per la grande cornice: la monografia di Hanno-Walter Kruft la dava dispersa, prima che la ritrovasse, smontata, Maria Antonietta Spataro. Io credo fermamente che proprio Raffaello avesse immaginato, per contenere il suo Spasimo,quelle due colonne a tutto tondo, così straordinariamente potenti, così classiche.E ora la tecnologia ci restituisce pienamente quel rapporto perché la riproduzione di Factum Arte torna a esser una tavola in tre dimensioni, con una fisicità che il dipinto ha perduto perché ,dopo essere stata donato al re di Spagna nel 1661, fu portato da Napoleone a Parigi, dove capitava spesso che i restauri consistessero in quel fatidico trasporto da tavola su tela per togliere tarli e altro.

Quindi, quella che si vede oggi a Madrid è una tela. Per cui non la vedrete mai così vera neanche vedendo il vero, e mai così nel suo luogo destinato come in questo. Quindi sede originale(seppure nella cappella simmetrica dello Spasimo),cornice potente e architettonica, mentre la cornice dorata di Madrid è una specie di supporto infermieristico.

La condizione ritrovata esalta la composizione profonda di architettura e di pittura, e anche di scultura, in un pensiero che è il pensiero di Raffaello: non credo che non avesse pensato a dove doveva andare un'opera tanto importante e impegnativa; e che pur essendono esecutore materiale Gagini, Raffaello non avesse detto: «Io vorrei due colonne così ornate, con le grottesche». Per questo continuo a pensare che ci sia stato un disegno di Raffaello e -anche se non fosse vero quello che dico- si tratta comunque di una novità per gli studi, perché dal 1661 la cornice non è più stata vista con il quadro.

Era stata bensì trasferita, nelle incongrue peregrinazioni, nella chiesa di Santa Maria della Grotta, presso il Collegio Massimo della Compagnia di Gesù, tra il 1782 al 1930, per incorniciare un rilievo del Marabitti. Poi, di nuovo smontata, a Bagheria, in frammenti. Quando, nel 1986 la vede in quelle condizioni la Spataro, che entra in quelle smembrate pietre, capisce che sono quelle che Kruft non ha trovato, e trasmette a molti, come trasmette a me, il suo desiderio di una ricomposizione. Questo durevole slancio, questo pathos rendono oggi questa ricostruzione la vera novità dell'anno raffaellesco.

Ma nella chiesa dello Spasimo, il rapporto con Raffaello è ancora più ampio. La costruzione dello stesso edificio fu decisa nel 1509 da Giulio II, il papa che chiamò, grazie a Bramante, Raffaello nelle Stanze Vaticane. Leggiamo Giorgio Vasari, in una pagina bellissima delle Vite, per vedere cosa capita al dipinto: «Fece poi Raffaello per il monasterio di Palermo detto Santa Maria dello Spasmo, de' frati di Monte Oliveto, una tavola d'un Cristo che porta la croce, la quale è tenuta cosa maravigliosa».

E infatti poi determinerà un effetto formidabile in tutti i pittori, da Polidoro da Caravaggio a Vincenzo da Pavia,quei manieristi che trovano Raffaello anche in Sicilia. Raffaello è il primo pittore nazionale: manda un'opera a Bologna, una a Piacenza, una a Napoli, una a Palermo, come se intendesse stabilire un linguaggio pittorico italiano così come Pietro Bembo fece, nel 1525, con la lingua toscana di Petrarca e di Boccaccio, nelle Prose della volgar lingua. La storia esterna raccontata dal Vasari:«Questa tavola, finita del tutto, ma non condotta ancora al suo luogo, fu vicinissima a capitar male, perciò che, secondo che e' dicono, essendo ella messa in mare per essere portata in Palermo, una orribile tempesta percosse ad uno scoglio la nave che la portava, di maniera che tutta si aperse e si perderono gli uomini e le mercanzie, eccetto questa tavola solamente che, così incassata come era, fu portata dal mare in quel di Genova». Pensate che percorso! «Dove ripescata e tirata in terra, fu veduta essere cosa divina e per questo messa in custodia; essendosi mantenuta illesa e senza macchia o difetto alcuno, perciò che sino alla furia de' venti e l'onde del mare ebbono rispetto alla bellezza di tale opera, della quale, divulgandosi poi la fama, procacciarono i monaci di riaverla, et appena che con favori del Papa ella fu renduta loro, che satisfecero, e bene, coloro che l'avevano salvata».

Raffaello non poteva non provare l'affetto di un padre per quest'opera, e non pensare a dove sarebbe stata collocata. Per questo io penso che,forse, fra i disegni di Raffaello, potremo trovare una impronta, una ipotesi, uno schema compositivo del rapporto fra la cornice e l'altare.

«Rimbarcatala dunque di nuovo e condottola pure in Sicilia, la posero in Palermo, nel qual luogo ha più fama e riputazione che 'l monte di Vulcano».

È l'opera più famosa che sia mai arrivata im Sicilia. Dopodiché la sua vicenda è nota. Anche per l'iniziale travaglio dell'avventuroso naufragio,da cui fu ripescata e riportata, le condizioni dell'originale non sono buone: quindi questa replica e chiunque pensi che sia una copia dice cosa sbagliata- è l'originale nella sua dimensione concettuale, perché lo è fisicamente, visivamente e materialmente, per una perfetta perspicuità ottica . Perciò ciò che vediamo oggi, dopo 359 anni, è assolutamente unico, non visto neppure da Raffaello: noi vediamo per la prima volta quello che lui solo pensò.

Faccio fatica a credere che non avesse, con l'amore con cui ha dipinto la sua opera , valutato anche a quale destinazione, in quale contesto, in quale spazio, in quale dimensione, che è quel nesso tra architettura e pittura che indica solennemente nella pagina forse più bella della sua intera impresa umana: intendo la lettera che, con Baldassarre Castiglione scrisse al papa, Leone X, dove, lui che arrivava da Urbino, manifesta per Roma e per le sue antichità l'affetto più grande davanti alla gloria della città che non è stata devastata dai barbari ma dai contemporanei, che non hanno capito il presente in quella straordinaria civiltà antica, in quei monumenti che sono la storia, la vita; e con le sua accorate parole anticipa tutte le leggi di tutela che da lì prenderanno avvio.

Questo amore per l'antico, inteso come vita perenne, è quello che vediamo qui, nell'altare, in quel timpano che richiama l'architettura classica, che era nella sua mente, prima che in quella di Gagini, e per diretta impressione,che lo scultore non ebbe.

Perché quando vedi lo Spasimo entro quelle colonne senti una unità così profonda di pittura e architettura che credo Raffaello abbia potuto sperarla, se non pensarla.

Ecco, avendo interpretato quello che Raffaello voleva , possiamo annoverare Palermo fra le città essenziali del percorso raffaellesco perché lo Spasimo è un momento fondamentale della sua piena maturità, come La ginestra nel percorso di Leopardi, una fase drammatica e intensa, che si ricompone nella dimensione rinascimentale grazie a quella cornice, che conferisce armonia a un'opera che ha una fortissima tensione, in una profonda variazione rispetto alla visione degli affreschi delle Stanze Vaticane.

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