«Mi piacciono le cifre tonde » soleva dire Liz Taylor, che però di mariti ne ha avuti soltanto sette. Per decenni se li è sempre scelti di alto livello, se non per il conto in banca quanto meno per la notorietà: dal viziato miliardario figlio di papà Conrad Hilton all’aristocratico collega semolino Michael Wilding, dall’autoritario produttore Mike Todd al cantante confidenziale Eddie Fisher, dal potente politico repubblicano Jack Warner all’unico grande amore della sua vita, il focoso attore gallese Richard Burton, non per nulla sposato due volte. Sorprendendo tutti con l’ultimo della lunga serie, il muratore Larry Fortensky, folta capigliatura bionda, aria da bagnino di Baywatch e sguardo non proprio da aquila. Un abbinamento oltraggioso per lei che al posto degli occhi aveva due splendenti fari viola. Capaci di far capitolare una schiera infinita di amanti, lista in cui è sempre stato difficile separare i veri dai presunti. Se Frank Sinatra, Montgomery Clift, Vic Damone, Howard Hughes, Aristotele Onassis, Roddy McDowall, Malcom Forbes, ovvero paperoni e star assortiti, dovrebbero entrare di diritto nella prima categoria, per riempire la seconda non basta la calcolatrice.
La donna più bella del mondo secondo una fragile graduatoria destinata a cambiare «maglia rosa» a ogni stagione, ha avuto una vita sentimentale così burrascosa da far passare in secondo piano il suo talento d’attrice. Per la gioia dei tabloid e dei settimanali femminili di tutto il mondo, Italia ovviamente in prima linea. Anche se ormai da molti anni l’ingrassata e quasi irriconoscibile Liz compariva, piuttosto raramente, sulle pagine patinate non per le lontane intemperanze, bensì per i ripetuti affronti di una sorte decisa a farle pagare un perfido contrappasso, nonostante la diva in età matura si fosse ampiamente riscattata dalla colpa di aver molto amato facendosi grintosa paladina della guerra all’Aids. Nell’elenco, tanto vasto quanto incontrollabile, dei suoi malanni figurano in ordine sparso polmonite cronica, Parkinson, demenza senile, alcolismo, insufficienza cardiaca, oltre a un’accertata lesione permanente alle vertebre causata da una caduta da cavallo durante il Gran Premio , inteso come film, del 1944, girato al fianco dell’oggi novantunenne Mickey Rooney.
Quello era stato il terzo gradino di una carriera strepitosa, cominciata l’anno prima con il lacrimevole Torna a casa, Lassie! Aveva soltanto undici anni, la piccola figlia d’arte Liz: la madre era un’ex attrice di teatro, il padre un mercante di quadri. I genitori, pur essendo americani, l’avevano fatta nascere a Londra. Ebbene, a fianco di un cane che per qualche anno la superò in celebrità, la giovanissima Elizabeth fece singhiozzare il mondo intero. Per la verità strappando qualche risata, almeno in Italia, per via di un doppiaggio gracidante che riuscì nella missione impossibile di peggiorare la sua vocina infantile, l’esatto contrario di un carattere di granito.
Altro giro, altri lucciconi, con un famosissimo film del 1949. Liz aveva compiuto il diciassettesimo anno, l’ultimo da nubile, quando girò Piccole donne , una sciropposa storia appesa tra sentimento e patriottismo, tratta da un popolare romanzo per fanciulle virtuose dell’Ottocento. Sarà stato un caso, ma la sfolgorante bassottina Elizabeth, almeno nei primi tempi, non ebbe partner alla sua altezza. Artisticamente parlando, s’intende. Dopo il collie le toccò infatti il fresco immigrato Rossano Brazzi, latin lover di ottima presenza e imbarazzanti qualità recitative. La gracchiante doppiatrice tornò a penalizzare l’incolpevole Liz in due spumeggianti commedie in bianco e nero, dirette dal raffinato Vincente Minnelli, Il padre della sposa (1950) e Papà diventa nonno ( 1951), dove il genitore della finzione, il grande Spencer Tracy, sembra davvero voglioso di affibbiare qualche ceffone a quell’irritante figliola, oltrepassando i limiti del bonario copione.
Del ’51 è un film che è quasi un presagio: la Taylor ha il personaggio della rubamariti Angela Weeekers nel drammone di George Stevens Un posto al sole , con Clift e Shelley Winters. Un ruolo che interpreterà pari pari nella realtà sette anni più tardi, per soffiare il quarto marito, Eddie Fisher, all’amica del cuore, nonché frizzante collega, Debbie Reynolds. Nel 1956, quando ha ventiquattro anni e il consorte numero due (Michael Wilding), ma all’orizzonte spunta già il numero tre (il dispensatore di Rolls Royce Mike Todd, che morirà presto in un incidente aereo, prima dunque di essere scaricato) gira l’elefantiaco Il gigante , con il divo in irresistibile ascesa James Dean, fermato su una Porsche troppo veloce prima ancora che finissero le riprese.
Seguono altri film di grande successo, come La gatta sul tetto che scotta ( 1958), dove seduce Paul Newman in una scena straordinariamente sensuale e per l’epoca molto spregiudicata; il drammone psicologico Improvvisamente l’estate scorsa (1959), in cui sfodera un clamoroso bikini bianco per contendere la leadership a una mostruosa Katharine Hepburn; il modestissimo fumetto Venere in visone (1960), un’operina da Oscar del ridicolo, che pure le fruttò la prima di due statuette. La seconda, stavolta meritatissima, arrivò sei anni dopo grazie al mattone teatrale Chi ha paura di Virginia Woolf? , girato al fianco di Richard Burton, conosciuto nel 1961 sul set del faraonico fiasco da 45 milioni di dollari Cleopatra , e sposato, la prima volta, nel 1964. Nella scespiriana La bisbetica domata del 1967, diretta dal giovane Zeffirelli, è la scalpitante zitella padovana Caterina, pronta a mandare lampi dai più scintillanti occhi dello schermo, ma anche ad alzare le mani contro l’aitante veronese Petruccio, interpretato da un Burton ancora ignaro che le botte previste dalla sceneggiatura sarebbero state un timido aperitivo di quanto gli sarebbe capitato nella dura vita matrimoniale. Nello stesso anno escono due solenni pizze, I commedianti , manco a dirlo con Burton, e Riflessi in un occhio d’oro , con Marlon Brando, uno dei pochi, al pari di Dean, a resistere al fascino della maliarda Liz.
Ma la sfolgorante carriera già declina: sul set di L’unico gioco in città (1970), in cui incrocia l’irresistibile dongiovanni Warren Beatty, ha trentotto anni, portati, saranno gli stravizi o il continuo su e giù delle fedi nuziali, maluccio. Neanche a farlo apposta nel 1973 è la protagonista di Divorzia lui, divorzia lei , un titolo che non potrebbe essere più autobiografico. Come sempre accanto ha Burton, da cui Liz divorzierà nel ’74, per risposarlo l’anno dopo e rompere definitivamente nel ’76. Ma Burton, a onta dei due consorti successivi, resterà l’uomo della sua tumultuosa vita, il solo tra l’altro in grado di tenerle testa, salvo forse il prematuramente scomparso Todd. Accanto a lui riposerà in eterno nel cimitero gallese di Pontrhydyfen, dove sono sepolti i genitori dell’attore, una tomba acquistata insieme dai due coniugi ai tempi della passione e dei diamanti, delle sbronze e degli schiaffoni.
Sempre che sia stata risolta una non semplice formalità burocratica: il trasloco della salma di Richard dalla Svizzera, il paese che l’aveva ospitato fino alla morte, avvenuta nel 1984, con la nuova moglie Sally. Ma è impossibile che la battagliera Liz non vinca l’ultima battaglia. Anche da morta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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