Tra i giovani e giovanissimi registi dell'ultima generazione oggi spicca, per doti naturali e generosa vocazione di palcoscenico, il giovanissimo (ha appena 27 anni) Alberto Oliva. Che, più instancabile di Chéreau ai tempi d'oro della sua irruzione sulla scena, oggi ha all'attivo ben quindici spettacoli. Laureato di recente con due premi prestigiosi, prima quello di Sipario/ Associazione Nazionale Critici di Teatro per il goldoniano Ventaglio e poi col Premio Pirandello come il più originale metteur en scène dell'ultima leva, ora Oliva è presente nei teatri milanesi con due exploit destinati a stupire il pubblico, ormai numeroso, che lo segue con appassionato fervore.
Dopo uno studio di grande impatto creativo nel nome di Shakespeare con una rilettura in chiave espressionista del Mercante di Venezia (in scena al Teatro Libero fino al 9 dicembre) è ora la volta del Padre di Strindberg che sta registrando all'Out-Off il tutto esaurito fino al 23 dello stesso mese. In questa rivisitazione n.2 del grande scandinavo, Oliva a differenza di quanto fece mesi fa quando era alle prese con La danza della morte, punta tutte le sue carte su una scena che, a prima vista, appare tutt'altro che claustrofobica.
Ma è una falsa pista perché nella sala-atelier dove Laura (e sua figlia che qui non vediamo) dipinge ed espone alla contemplazione dei visitatori tele più raccapriccianti dei ritratti di Munch con uomini e donne esaltati nei tratti somatici più inquietanti che si possano immaginare, regna fin dall'inizio l'inferno. Con il Capitano esaltato e perverso di John-Alexander Petricich che gli conferisce un impatto visionario perfettamente in linea col romanticismo malato e ossessivo dell'autore e la Laura di Chiara Zerlini che, animata da un eccentrico sarcasmo, tratteggia un'intima nevrosi sullo spartiacque tra altezza tragica e farsa nera.
Mentre gli altri interpreti formano un coro da dramma classico col cognato mellifluo di Jacopo Zerbo, l'ambiguo medico in odor di voyeurismo di Mattia Sartoni e soprattutto con la balia di Lorenza Pisano.Che, grossa novità registica, disegna in tinte quasi claustrali una figura di zitella torturata dall'amor materno. In uno spettacolo di crudo fascino e insolito rigore.
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