Gli anniversari, in Italia, finiscono spesso per risultare più divisivi che unificanti, un'occasione per ripescare e ravvivare antiche fratture. Fu così per i 150 anni dell'Unità, quando si dovette ricordare ai celebranti in quale modo violentissimo fu imposta al Sud, con la sanguinosa repressione del cosiddetto «brigantaggio». Non è colpa degli italiani, piuttosto del modo in cui da noi viene bistrattata la storia. Si stenta e si tarda - di decenni, a volte di secoli - a fare i conti con il passato, rifugiandosi nei miti rassicuranti delle nozioni (poche) ricevute. Così, per esempio, la Controriforma passa senza dubbi per buona cosa, perché riportò la Chiesa di Roma un passetto più vicino a quel cristianesimo che doveva difendere e pose le premesse per un clero meno corrotto; ma in genere si trascura di informare che l'istituzione dell'Indice dei libri proibiti e l'occhiuta vigilanza controriformista su ogni attività culturale recise per sempre quell'arteria giugulare che nel Rinascimento aveva fatto dell'Italia il paese più colto e avanzato del mondo. Allo stesso modo, se ancora siamo qui a paventare un ritorno al fascismo per ogni ragazzotto ignorantello a braccio destro levato, è anche perché per decenni, dopo il 1945, chi deteneva le leve del potere politico e culturale ha preferito ignorarne le cause e gli sviluppi, limitandosi e sostenere la vulgata parzialissima di una borghesia che difendeva i propri interessi con la forza. Come dire, per descrivere l'universo, che è tanto grande.
Non mi aspettavo dunque che il centenario dell'Impresa di Fiume passasse senza contrasti, quando ho pubblicato un libro sull'argomento e mentre preparavo varie manifestazioni per conoscere e capire meglio cosa accadde davvero nella «Città Olocausta», divenuta «Città di Vita» con un artificio retorico di Gabriele d'Annunzio. C'era da sciogliere soprattutto un nodo, già noto agli storici come fasullo ma ancora ben stretto nella vulgata: la convinzione che l'Impresa sia stata una prima prova, se non la genesi, del fascismo. Tutto ciò benché la Carta del Carnaro, scritta da d'Annunzio e dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, sia una delle costituzioni più avanzate e democratiche del Novecento.
Hanno abbattuto la tesi dell'impresa fascista, decennio dopo decennio, Nino Valeri, Renzo De Felice, Emilio Gentile, George Mosse, Michael Arthur Ledeen, Francesco Perfetti, Claudia Salaris, in questi giorni Maurizio Serra con il suo L'imaginifico (Neri Pozza). Il convegno che si è tenuto al Vittoriale dal 5 al 7 settembre (quasi trenta storici, per la prima volta anche croati) ha confermato in abbondanza questa direzione degli studi, rafforzandola.
Certo, la vulgata, ovvero l'opinione popolare, è difficile da cambiare, si tratta di un'operazione lenta e faticosa, ma le decine di conferenze, commemorazioni, convegni che si sono svolti ovunque in questi mesi, andavano tutti in quella direzione; la Festa della Rivoluzione - così si è chiamata la settimana dannunziana a Pescara - ha avuto un enorme successo di pubblico, proprio in quella città natale di d'Annunzio che una giunta grossolana aveva voluto platealmente «dedannunzizzare»; e se il Vittoriale degli Italiani aumenta i visitatori ogni anno è anche per questo motivo.
Qualche problema c'è stato a Trieste, ma non per la grande mostra «Disobbedisco», quanto perché qualche esponente della sinistra, ancora preda della propaganda mussoliniana, ha lanciato con scarso esito appelli e sottoscrizioni contro il progetto di onorare il Vate con una pacifica scultura meditativa nella bella piazza della Borsa. La statua verrà inaugurata oggi, omaggio a un grande poeta, irredentista per Trento e Trieste. Anche se molti si sono dimenticati che per quelle due città gli italiani fecero, nel 1915-18, la «Quarta guerra d'Indipendenza». Per il resto, convulsioni di fronte all'affermazione di un d'Annunzio non fascista si sono avute solo all'estrema sinistra (un articolo sul manifesto in puro stile anni Cinquanta) e soprattutto da parte di più o meno colti velleitari di estrema destra, rabbiosi di vedere togliere dalla storia del fascismo un pezzo tanto pregiato come d'Annunzio. Se ne faranno una ragione, se e quando arriveranno a capire la differenza tra patriottismo e fascismo.
È più comprensibile, infine, la presa di posizione del sindaco di Fiume, che
addirittura vede nell'impresa la genesi del nazifascismo: lì sono ancora vittime della vulgata titina, più recente di quella di Mussolini. La storia a volte procede a salti improvvisi, ma le revisioni sono sempre lente.@GBGuerri
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