Il Vate come non l'avete mai visto. Mentre dal balcone del Vittoriale saluta i reduci dell'impresa di Fiume: sopra giacca militare e sotto pigiama. O tossico, mentre sniffa strisce di coca, offrendone al federale di Brescia. E antifascista, mentre alla stazione di Verona sussurra al Duce, reduce dall'incontro con Hitler: «Ti sei scavato la fossa». Ma, soprattutto, adoratore del libertinaggio, con tre sue amanti conviventi, delle quali una, Amélie, reclutatrice paraninfa di ragazze ignude. Una specie di Ghislaine Maxwell versione liberty. Il fatto è che un film su Gabriele D'Annunzio, scrittore, poeta, militare, politico, patriota e molte altre cose afferenti alla pura modernità, non esisteva e ora c'è: s'intitola Il cattivo poeta (da domani in sala con 01), come il Vate descriveva se stesso e lo firma l'esordiente Gianluca Jodice, che ha pure sceneggiato tale cinebiografia - dal Vittoriano al Vittoriale, tra il 1936 e il 1938, mentre l'Italia fascista si allea alla Germania nazista -, adattando lettere, diari e scritti del Divino Gabriele, secondo uno schema filologico aderente come un guanto al grande personaggio, studiato a scuola, ma vittima d'una damnatio memoriae tutta italiana. Meno male che il produttore Matteo Rovere, fiutatore dei tempi, ha cominciato a presentare sotto una luce non ideologica figure della storia nazionale «che possiamo esportare». La coproduzione italo-francese Rai Cinema, Ascent Film e Bathysphere sigla un'ambizione supportata da un cast all'altezza. A partire da Sergio Castellitto, mai scivolante nel bozzettismo d'un settantaquattrenne auto recluso nel Vittoriale, reggia-museo sul Lago di Garda, dove , tra dipinti preziosi, vasi d'inestimabile valore e sculture Art Nouveau, il cast ha potuto girare scene molto suggestive. Come quella d'un tramonto con vista sul Lago di Garda, mentre le acque lievemente s'increspano, per tacere delle scalee di marmo, della nave arenata in giardino, delle statue preraffaellite che circondavano D'Annunzio nei suoi giorni di esilio amaramente dorato.
La storia s'incentra sul rapporto del Vate in clausura forzata col giovane «federalino» di Brescia Giovanni Comini (un convincente Francesco Patanè), incaricato dal governo di Roma di spiare D'Annunzio, ostile al partito fascista e alla guerra imminente. Tra i due nascerà una comprensione,venata d' amicizia: il politico idealista proteggerà, a modo suo, il grande vecchio, pagandone poi le conseguenze, e questi, ancorché in decadenza, mentre insegue topi in giardino, ricambierà con la propria fiducia. «Per prepararmi al personaggio,il cui mito è simile a quello di una rockstar di oggi, mi sono tagliato i capelli: se chiudi gli occhi, la prima cosa di D'Annunzio a cui pensi è il cranio. Pieno d'immaginazione, pericolosità, crudeltà. Se è vero che le case sono la geografia dell'anima, il Vittoriale è la geografia di D'Annunzio. Non luogo d'antiquariato, ma archeologia, ciò che è stato: potenza, decadenza, bellicità», spiega Castellitto, abituato a ruoli impegnativi. Anche a dispetto delle critiche,di recente piovute ingenerose sulla sua interpretazione del personaggio edoardiano di Natale in casa Cupiello.
E se D'Annunzio, stando ai fascisti, «è come un dente guasto: o lo si ricopre d'oro, o lo si estirpa», i nostri intellettuali sostenevano fosse «un imbecille» (Elsa Morante) o «un cadavere da conservare in cantina» (Alberto Arbasino). Così, per pareggiare i conti.
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