"Il bambino farfalla non sapeva fare a botte"

In seconda elementare lui non conosce ancora la giungla e l'assassinio mediante tortura...

"Il bambino farfalla non sapeva fare a botte"

Il bambino farfalla non era benvoluto in seconda elementare perché sapeva scrivere batteri senza errori nella gara di dettato, perciò gli altri maschietti lo picchiavano. E poi gli piacevano le femminucce. Di solito i maschietti di seconda elementare odiano le femminucce, lui invece non le odiava, perciò gli altri maschietti lo disprezzavano.

C'era una giungla, e c'era l'assassinio mediante tortura, ma il bambino farfalla non li conosceva. Però conosceva il bullo della scuola, che lo picchiava tutti i giorni. Il bambino farfalla capì alla svelta che non poteva far niente per difendersi. Il bullo della scuola era più forte e veloce di lui. Il bambino farfalla non sapeva fare a botte. Quando il bullo della scuola gli dava un pugno, non gli veniva mai in mente di ridarglielo. Usava le braccia per ripararsi viso e pancia meglio che poteva, e cercava di non piangere. Fossero stati solo lui e il bullo della scuola, probabilmente avrebbe pianto, perché considerava il bullo della scuola una forza titanica e implacabile, al cui confronto lui era talmente indifeso da essere come una vittima sacrificata al dio del male, perciò non si sarebbe vergognato di piangergli davanti. Ma siccome gli altri maschietti adoravano riunirsi in circolo a guardarlo mentre le prendeva, il bambino farfalla non piangeva; loro erano suoi pari - anche se ovviamente non la pensavano così. Per tutti gli altri maschietti della scuola il bambino farfalla era così vile e disgustoso che non lo consideravano un essere umano.

Il bullo della scuola era ritardato. Aveva ripetuto la quarta tre volte. Perciò era molto più grosso e forte di qualunque altro maschietto delle elementari. D'inverno il bidello spalava la neve in cortile e l'ammucchiava tutta in un angolo, e il mucchio si congelava formando una montagna di ghiaccio che a febbraio o marzo quasi superava la recinzione. Il bullo della scuola elesse a suo regno quella montagna. In cima al mucchio azzurrognolo di fanghiglia gelata sceglieva la sua vittima, seguendo un algoritmo per certi versi simile a quello del bambino farfalla quando diventò grande e doveva decidere di quale puttana innamorarsi. Il bullo, tuttavia, sembrava andato a scuola dalle aquile. Ruotava la testa incassata a scatti vigili, senza quasi battere ciglio e, appena avvistava qualcuno da torturare, strillava e sollevava le braccia come ali. La camminata, il colore delle scarpe: i suoi occhietti duri scrutavano questi e altri ignoti particolari, finché non stanava un roditore degno della sua cattiveria. Il primo era sempre il bambino farfalla ma a volte toccava anche a qualcun altro. Magari penserete che quel qualcuno e il bambino farfalla si alleassero, ma non succedeva mai. Chiunque soffrisse per mano del bullo della scuola perdeva l'onore e la dignità e non valeva più niente. La sua sofferenza lo rendeva così spregevole che non lo sopportavano neanche gli altri esseri spregevoli.

Quindi il bambino farfalla poteva giocare solo con le femmine. Le adorava. A volte le baciava, a volte erano loro a baciarlo. Ogni tanto quelle più forti addirittura lo difendevano dal bullo della scuola. Ma questo lo rendeva ancora più infelice. Avrebbe preferito rincasare per l'ennesima volta col naso sanguinante che sopportare l'ulteriore ignominia di essere difeso da una femmina.

Quindi i piaceri del bambino farfalla erano solitari.

Una sera un'enorme farfalla monarca si posò sul primo gradino di casa sua e lui la osservò per un'ora. La farfalla si appollaiò sullo zerbino muovendo piano le ali stupende. Sembrava felicissima. Poi si levò in aria e lui non la vide mai più. Ricordò quella farfalla vita natural durante.

Traduzione di Cristiana Mennella

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