Gaffe virtuale, danno reale. Il ministero dei Beni culturali l'ha combinata grossa e non sa come uscirne. Ha fatto un accordo senza gara con la milanese Cinello per trasformare in copie digitali - registrati nella blockchain come Nft e numerati - 40 tra le opere più famose degli Uffizi, tra cui Il Tondo Doni di Michelangelo. Ma grazie ad alcune clausole sfuggite di mano - come hanno rivelato le Iene - lo Stato rischia di perdere «la gestione, il controllo e lo sfruttamento» di queste immagini digitali degli Uffizi e di altri musei. A nulla serve lo stop agli accordi imposto dal direttore generale dei musei Massimo Osanna in una circolare. Il giochino era semplice: si realizza una copia digitale perfetta dell'opera, si riproduce su un monitor ad altissima definizione, si mette in cornice e si vende. Il ricavato, in teoria, dovrebbe essere diviso al 50%. Il Tondo Doni è stato venduto per 240mila euro, di cui solo 70mila sono finiti allo Stato. Ci sono altre cose che non tornano. Nel contratto in questione stipulato tra Galleria Uffizi e Cinello si prevede un affidamento diretto, senza evidenza pubblica. La «riproduzione» di cui si parla è ai sensi dell'articolo 107 del Codice dei Beni culturali oppure siamo davanti a una «nuova» opera, un nuovo originale? È una compravendita o a una concessione? E se fosse così perché non c'è alcun canone? Dare il 50% è troppo per una «intermediazione». Ci sono decine di aziende che fanno questo lavoro da anni, che chiedono il 3-4-5%, altro che 50%. C'è una clausola, la 7.2 per cui Cinello potrebbe impedire agli Uffizi, pena il deprezzamento delle opere, di realizzarne altre con altri soggetti. Un bel pasticcio che ha già attirato l'attenzione del Nucleo tutela dei Beni culturali dei carabinieri, del Mef e dell'Anac. Cinello continua a vendere le opere sul suo catalogo («Sono nostre, dice uno dei soci») anche se il contratto è scaduto. «In realtà - spiega Giuseppe Miceli, esperto di Nft e responsabile dell'Osservatorio nazionale antiriciclaggio per l'Arte, che con Kelony lavora al progetto di tracciabilità delle opere d'arte - cosa c'entra la serigrafia digitale con gli Nft? Potrebbe essere un cosiddetto contratto estimatorio (molto in uso nel mercato dell'arte), in cui si subordina alla vendita dell'opera il pagamento della quota che incasserà Uffizi. Ma serve il presupposto della cessione di un bene, non di un servizio».
E se fosse una concessione a un privato, chi e come si può garantire che quella riproduzione sia effettivamente fedele all'opera originale? In caso di discrasia, paga lo Stato? E se davvero gli Uffizi avessero ceduto il diritto di proprietà? Per Franceschini sarebbero guai seri...
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