Alto, bruno, bravissimo. E autorevole come un papa del cinema francese e internazionale, conteso da Alfred Hitchcock e Luis Buñuel (nei film da antologia Diario di una cameriera, Bella di giorno, Leone d'oro al Lido, La selva dei dannati, La Via Lattea, Il fascino discreto della borghesia, Il fantasma della libertà), Jean-Luc Godard e Marco Ferreri (Dillinger è morto, La grande abbuffata, La cagna) lungo una carriera di 70 anni, 200 film e un David di Donatello quale Miglior attore in Habemus Papam (2011) di Nanni Moretti, che rilanciò il fascino dell'allora 85enne Michel Piccoli, adorabile come pontefice suo malgrado, ma uomo di carne e sangue, renitente al balcone vaticano e smarrito in una Roma poco papalina. L'attore, nato a Parigi il 27 dicembre 1925, in una famiglia di musicisti dove dominava una madre altoborghese e anaffettiva, è morto il 12 maggio, portato via da un ictus, informa il suo amico Gilles Jacob, ex-presidente del Festival di Cannes. Ma non si spegne soltanto un mostro sacro della Settima Arte, assistito dalla moglie sceneggiatrice Ludivine Clerc e dai due figli adottivi Inord e Missia, di origine polacca. Dal presepe del grande cinema che non torna, proprio mentre sulle piattaforme si alternano perfetti sconosciuti nati per l'istante digitale, sparisce uno degli ultimi esemplari di virilità naturale, che unita a un impareggiabile talento istrionico facevano di Piccoli quel tipo d'interprete amato pure dalle femministe dei Settanta di piombo. Le quali, sotto i gonnelloni folk, tanto a Parigi quanto a Roma, fremevano per l'emanazione erotica di Michel, uomo-gattone non propriamente bello come Marlon Brando, ma disinibito e franco verso le proprie voglie, come appariva ne L'orgia di Ferreri. Uno che non si negava cibo e donne, ma che della collega Romy Schneider, con la quale ebbe una storia sul set de L'amante (1970), uno dei sei film girati con «Sissi», diceva: «Abbiamo avuto la debolezza di lasciarci andare a gesti non sempre onesti».
Michel, nel 1963 consacrato interprete di vaglia con Il disprezzo di Jean-Luc Godard, altra icona del cinema d'Oltralpe, film di successo ispirato all'omonimo romanzo di Alberto Moravia, dove spingeva Brigitte Bardot tra le braccia di Jack Palance, militava a sinistra. Non gauchiste al caviale, però, ma intellettuale patriarcale, prima membro del Mouvement de la Paix e poi socialista avverso al Front National, nonché sostenitore di François Mitterrand, nel 1974 e nel 1981. Attratto da Ségolène Royal, nel 2007 Piccoli firmerà, con altri 150 «intellos», una lettera aperta contro «una destra d'arroganza» e per «una sinistra di speranza». Diversamente dalle celeb, ora allineate sui social in un generico ambientalismo, l'attore si era formato una coscienza politica ascoltando Hitler alla radio, durante la Seconda guerra mondiale, sintonizzandosi poi sull'appello di De Gaulle a combattere i nazisti. Propenso a dire ciò che pensava, nell'autobiografia pubblicata da Grasset nel 2015, a 90 anni, non temeva di evocare la malattia, la vecchiaia, la morte. «Si vorrebbe che non finisse mai e invece finisce. La memoria subisce un degrado. Ed io sono vittima di questa che è una catastrofe, per un attore. Mi piacerebbe non morire», scriveva. Attore-feticcio per registi di fama (8 film con Buñuel e con Ferreri, 5 con Claude Sautet), Michel Piccoli si è dedicato pure al teatro, senza tralasciare la regia (Alors Voilà,1997; La Plage Noire, 2001 e C'est pas tout à fait la vie dont j'avais revé, 2005), prestando la sua voce a un album-omaggio per Serge Reggiani e la sua penna ai libri Dialogues égoistes (1976), in collaborazione con Alain Lacombe e J'ai vécu dans mes reves (2015), a quattro mani con Gilles Jacob.
Un «homme à femmes» come lui, però diverso dai playboy degli anni Settanta come Delon o Belmondo, non poteva farsi mancare una musa come Juliette Gréco, celebre regina delle cantine esistenzialiste, sposata in seconde nozze nel 1966 e lasciata nel 1977. Una coppia leggendaria, la loro, immortalata sulle riviste dell'epoca, lei con la frangia, eternamente vestita di nero, lui col maglione a collo alto, l'eterna Gitane tra le dita. Quel duo smart era nato dalle ceneri di un precedente matrimonio di Piccoli, con l'attrice Eléonore Hirt, anche madre della loro Anne-Cordélia. Amico detestabile in Bella di giorno (1967), amante problematico in L'amante (1970), poliziotto manipolatore in Il commissario Pelissier (1971), egli è stato l'attore più emblematico del cinema francese e una pietra miliare della Nouvelle Vague, scaldata dalla presenza di Catherine Deneuve, con la quale ha girato dozzine di film. Come dimenticarlo nel ruolo di Henri Husson, amico della coppia formata dal dottor Serizy (Jean Sorel) e da sua moglie Séverine (la Deneuve), quando, in Belle de jour, menziona l'esistenza d'un bordello di lusso, dove Séverine busserà? Altro ruolo memorabile, e scandaloso a Cannes, nel 1973, quello de La grande abbuffata, dove Piccoli incarnava, insieme a Mastroianni, Tognazzi e Noiret, un omosessuale partecipante a un week end gastronomico, che diventa orgia. Interpretazione che sancì la vocazione eclettica dell'attore, attratto dall'esplorazione dei pianeti sessuali fuori norma.
Come l'incesto, adombrato in La figlia prodiga, dove impersona il padre d'una trentenne (Jane Birkin), che torna ad abitare col genitore, in un crescendo di tensioni sessuali. Con la morte di Piccoli, caro ai nostri registi, si spezza l'asse portante del cinema franco-italiano, forse saldabile alla Mostra di Venezia, gemellata con Cannes.
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