Per Bonisoli il 100% dei dissensi

di Angelo Crespi

Il ministro della cultura, il pentastellato Alberto Bonisoli, raccoglie il 100% dei dissensi. In passato, la cosa non era riuscita a Sandro Bondi, pur osteggiato dalla Sinistra, e neppure a Massimo Bray, caduto nel mentre di una riforma. Bonisoli invece ha fatto l'en plein e la sua controriforma (così definita rispetto alla precedente di Dario Franceschini) non è piaciuta a nessuno. È stata stroncata per troppo statalismo e dirigismo e per aver limitato le autonomie museali, da Corriere, Repubblica, Foglio, Libero, Messaggero, Nazione, Giornale dell'Arte; perfino il Fatto quotidiano, a firma di Tomaso Montanari che ne potrebbe essere uno degli ispiratori, l'ha criticata per «troppo centralismo». La riforma non è piaciuta a qualche componente del Consiglio superiore dei Beni culturali (organo all'apice del sistema ministeriale ma non convocato per discuterla), a qualche sovrintendente, a qualche direttore generale e regionale del Mibac, non è piaciuta alle Regioni e a chi sostiene l'autonomia, in primis l'assessore alla Cultura della Lombardia, Stefano Bruno Galli (Lega), non è piaciuta neppure al sottosegretario Lucia Borgonzoni (Lega) che, nei limiti del rapporto istituzionale con il proprio ministro, ne ha chiesto «profonda revisione», ma non è piaciuta neppure al sindaco di Firenze Dario Nardella (Pd) coordinatore delle città metropolitane, e comprensibilmente non è piaciuta ai direttori dei musei autonomi, specie agli stranieri; non è piaciuta, scontatamente, al giurista Lorenzo Casini, a cui si deve in parte quella di Franceschini, non è piaciuta ai sindacati le cui sigle (FP CGIL / CISL FP / UIL PA) hanno prodotto unitariamente lettera di biasimo, non è piaciuta all'Icom (la sezione italiana dell'International Council of Museums), non è piaciuta a 2.200 studiosi italiani e stranieri (accademici dei Lincei, docenti universitari, funzionari Mibac...) raccolti in petizione su change.org, infine non è piaciuta ai membri della commissione cultura della Camera, Federico Mollicone (FdI) e Anna Ascani (Pd), e per sovrapprezzo non è piaciuta ad Antonio Paolucci, Philippe Daverio, Vittorio Sgarbi.

Per i Cinque Stelle sarà difficile vantarsi di una riforma tanto osteggiata, anche all'interno dello stesso governo, e i cui meriti (qualora ci fossero) data la tecnicalità difficilmente possono essere sostenuti in chiave populistica, come accade per altri temi (No Tav e Reddito di Cittadinanza). Il riformatore Bonisoli rischia di essere riformato.

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