Dal Canale di Suez passano anche le «primavere arabe»

Luigi Iannone

Ormai tutto ruota intorno alla potenza ammaliante, benefica e insieme distruttiva della globalizzazione. La complicata rete delle relazioni internazionali con le sfide del Medio Oriente, la crisi dell'eurocentrismo, l'azione perentoria di leader come Trump e Putin, le questioni irrisolte legate a Iran, Siria e Corea del Nord aggiungono rischi e instabilità a un quadro d'insieme magmatico. Eppure sono in tanti, forse troppi, a parlare di politica internazionale con una superficialità mista a saccenza.

L'operazione che compie Marco Valle in Suez. Il Canale, l'Egitto e l'Italia (Historica, pagg. 336, euro 18) va nella direzione opposta, combinando le caratteristiche essenziali per potersi fidare di un analista di cose estere: 1) la passione per i viaggi, per la cultura, le leggi, le consuetudini degli altri popoli; 2) un approccio marchiato dalla scientificità e da dati concreti; 3) la conoscenza delle relazioni internazionali che animano la politica attuale. Valle sembra possederle tutte e le miscela con abile sagacia. Racconta che questo lavoro germogliò tanti anni fa, quando da ragazzino, oltre alla lettura compulsiva di atlanti e mappe, faceva incetta di racconti su terre lontane scoprendo così Salgari e Verne e, grazie a memorie familiari sempre vive, venne a conoscenza di storie di popoli misteriosi e di un Canale marittimo, quello di Suez, luogo di mirabilie e leggende per gli europei. Un bambino «che mai s'annoiava nel risentire narrare il fortunoso passaggio, nel giugno del 1967, dell'ultima nave dell'ultimo convoglio uscito da Port Said. Un attimo prima dello scatenarsi della guerra dei sei giorni. Sulla plancia di quel bastimento c'era il comandante Vincenzo Valle. Mio padre».

Da lì Valle svilupperà un interesse che si concretizzerà nella sua tesi di laurea sul Canale di Suez, «via d'acqua che unisce il Mediterraneo al Mar Rosso, avvicina l'Europa all'Oriente, all'Oceania, al Pacifico». Un tema che continuerà ad approfondire fino alla pubblicazione di questo testo che precede di un solo anno il 150º anniversario dell'apertura del Canale. Passaggio strategico dell'economia mondiale e, in passato, marchio del potere anglo-francese sul Levante e sul Mediterraneo, diventò nel 1956, dopo la battaglia vinta da Nasser, il simbolo per l'Egitto del riscatto nazionale. Ma il coacervo di traffici, complotti, guerre, speculazioni economiche, accordi diplomatici, ha rappresentato per l'intera Europa e soprattutto per l'Italia un punto di snodo. E anzi, per un visionario come Enrico Mattei, un vero e proprio «cruccio».

Valle ci racconta ogni singola fase, legando le vicende di quel canale al «grande gioco» della politica internazionale di quegli anni ma soprattutto alle prospettive recenti che, per un certo periodo, sembravano risentire di scenari mutati. «Allo scoccare del Terzo millennio, la più grande infrastruttura del XIX secolo e principale arteria commerciale del Novecento stava invecchiando. Più grandi le navi, troppo lunghi i tempi di attesa, tante le strozzature. La globalizzazione non è paziente. I bastimenti iniziavano a scegliere altre rotte. Più lunghe ma convenienti».

E invece, nel 2014, dopo l'intricata stagione della «primavera araba», il generale al-Sisi ha chiesto fiducia (e soldi) al suo popolo per ritentare l'impresa: raddoppiare la capacità del canale e trasformarla in un'autostrada del mare. E così tutto può ripartire di nuovo.

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