Che incubo ritrovarsi fra "Le sorelle Lacroix"

Simenon mette in scena una famiglia dove dominano odio e invidie. E un terribile segreto

Che incubo ritrovarsi fra "Le sorelle Lacroix"

Un collega socialmente utile sia nella funzione di collega, sia in quella di animatore nei virtuali villaggi dei social media, ci fa sapere, fra il lusingato e il sorpreso, che un paio di sue battute a proposito del Simenon con e del Simenon senza Maigret stanno suscitando un accesissimo dibattito che dalle scrivanie si è già trasferito sulle spiagge. E aggiunge che gli exit poll parlano nettamente a favore del Simenon de-maigrettizzato. Il Simenon, per intenderci, dei romans durs, in cui non ci sono sospettati, né indagini, né interrogatori, né fughe, né confessioni...

La cosa non sorprende: la sola presenza di Maigret colloca la narrazione nell'ambito rassicurante di un canone vincolato a precisi stilemi tutti riconducibili, come i fili della tela di un ragno illuminata dal sole, alla figura centrale del commissario-ragno; mentre in assenza di Maigret si procede a tentoni come in un ambiente buio, silenzioso, polveroso, indecifrabile, pericoloso. In altri termini: il Simenon con Maigret rivela e condanna, mentre il Simenon senza Maigret nasconde ed emette una sentenza di non luogo a procedere.

Ma noi che non condanniamo né archiviamo, limitandoci a leggere, possiamo dire che fra i «romanzi duri» del maestro belga il più duro, angosciante e claustrofobico è Le sorelle Lacroix, uscito da Gallimard nel 1938 e riproposto ora da Adelphi (pagg. 171, euro 18, traduzione di Federica e Lorenza Di Lella) a grande distanza dalla prima edizione italiana del 1960 nella versione di Marise Ferro, per Mondadori. Un concentrato di odio, malattia, micragnosità, invidia, egoismo: questo è la casa, più tetra e opprimente di un castello da splatter gotico, dominata dalla diarchia composta da Mathilde e Leopoldine Lacroix, figlie di un defunto notaio.

Siamo a Bayeux, nel Calvados, ma potremmo essere ovunque, poiché del mondo che vive oltre quelle mura avvertiamo soltanto segnali quasi impercettibili (un muggito, il rumore della pioggia, l'odore di vino e sigaro che impregna la giacca di un fittavolo, la frenata di un'automobile...). I sudditi fissi delle due, oltre all'impacciata e tremebonda cameriera Élise, sono Emmanuel Vernes, il marito di Mathilde, e i loro figli Jacques, il maggiore, e Geneviève, la minore, mentre Sophie, figlia di Leopoldine, va e viene seguendo l'umore inquieto e instabile della gioventù. Stanno tutti insieme, ma ognuno per i fatti propri, a macerare in pensieri livorosi, e riunendosi soltanto per pranzi e cene tutt'altro che conviviali. Emmanuel da tempo s'è confinato nell'atelier all'ultimo piano, dove accatasta i quadri che restaura su commissione o che dipinge lui stesso, limitandosi a ciò che vede dalla finestra: una distesa di tetti e il cangiante paesaggio del cielo. Geneviève, non appena ci viene presentata, all'uscita dal vespro, ha una sorta di crisi epilettica, dopo di che perde (o soltanto si convince di aver perso?) l'uso delle gambe, e si confina nella sua stanza. Jacques, praticante nello studio del notaio Crispin e fidanzato della di lui figlia Blanche, morde il freno volendo affrancarsi dalla dittatura di madre e zia.

«Quanto al fatto accaduto diciassette anni prima, era da diciassette anni che nessuno in casa ne parlava più», mormora Simenon a pagina 36, perfettamente a proprio agio nel mood da noir monocromatico che ci sta apparecchiando sotto gli occhi. E prontamente, subito dopo ci rivela quel fatto, autentica scena madre che ha generato la situazione in cui siamo calati, ospiti indesiderati di casa Lacroix. Svelarlo qui e ora equivarrebbe a fornire una bussola a chi voglia avventurarsi in una foresta dove dietro ogni foglia si nasconde un'insidia, e dunque privarlo del piacere di gustare la mise en abyme di un fatale frammento di cronaca famigliare.

Diremo soltanto che, in un contesto di pre-morte, per qualcuno andare incontro alla morte significa vendicarsi e che il testa a testa fra Mathilde e Leopoldine proseguirà oltre i limiti del romanzo. Perché al peggio non c'è fine.

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