«Continuo a girare film perché fare l'attore è noioso»

Nazareno Giusti

Nel novantesimo anniversario dell'uccisione di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, abbiamo incontrato il regista Giuliano Montaldo, autore del film cult dedicato ai due italiani «giustiziati» sulla sedia elettrica del penitenziario di Charlestown.

Maestro, come nacque l'idea di un film sul caso Sacco e Vanzetti?

«Conobbi la loro storia, all'inizio degli anni Settanta, assistendo a uno spettacolo in un teatro di Genova. Scelsi di farci un film. Il primo produttore a cui mi rivolsi, però, al nome di Sacco e Vanzetti, mi disse: e che è una ditta di import export?!. Dopo tre anni di rifiuti incontrai Arrigo Colombo. Appena gli parlai della mia idea gli si inumidirono gli occhi. Lui, ebreo fuggito negli Stati Uniti dopo le Leggi Razziali, aveva imparato l'inglese leggendo le lettere che scrivevano Sacco e Vanzetti».

Furono scelti subito Gian Maria Volontè e Riccardo Cucciolla per i ruoli dei due emigrati?

«Sì, Volontè era piemontese come Vanzetti e Cucciolla pugliese come Sacco. Anche se, per problemi di coproduzione, quest'ultimo stava per essere sostituito da Yves Montand. Io mi rifiutai, una scelta che si è dimostrata azzeccata visto il premio come migliore interpretazione ricevuto a Cannes».

Come venne accolto il film?

«In Italia i giovani preso d'assalto le sale. Anche in Usa ebbe un grande successo tanto da far nascere molte manifestazioni che portarono alla riabilitazione da parte del governatore dello stato che li aveva uccisi, Michael Dukakis».

Il suo primo film è Tiro al piccione, un inizio molto OFF...

«Era la storia di un giovane che sceglieva di aderire alla Repubblica Sociale italiana per poi scoprire che la Patria era dall'altra parte. Ma il piccione divenni io. A Venezia, dove il film fu presentato, la sinistra era imbarazzata, la destra incazzata e il centro rideva. Ho sofferto molto per le critiche e l'intolleranza vissuta sulla mia pelle».

Ultimamente lei è tornato al ruolo di attore nel film Tutto quello che vuoi: come è andata?

«Bene, anche se è

noioso fare l'attore. Ma non ho potuto rifiutare quando l'autore, Francesco Bruni, è venuto a casa mia a raccontarmi che quella era la storia del padre malato di Alzheimer, dicendomi: se non lo interpreti tu, io rinuncio».

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