Così accoglierò Gervaso al Vittoriale

Conobbi Roberto Gervaso nei primi anni '80, con Indro Montanelli; ero incantato dai sei volumi della Storia d'Italia che avevano scritto insieme, un capolavoro di scrittura e divulgazione storica

Così accoglierò Gervaso al Vittoriale

Conobbi Roberto Gervaso nei primi anni '80, con Indro Montanelli; ero incantato dai sei volumi della Storia d'Italia che avevano scritto insieme, un capolavoro di scrittura e divulgazione storica. Da allora ci incontrammo qualche volta, mai in occasioni mondane, quasi sempre nella sua casa romana. Pranzi rapidi e semplici, con l'amabile moglie Vittoria che gli faceva da motore e da alettone stabilizzante, a volte la figlia Veronica, poco più che bambina. Il piatto forte era la conversazione, che conduceva come i suoi aforismi, sapidi e taglienti: il mio preferito è «Il buon senso è spesso la virtù di chi non ne ha altre». Riusciva a prendere per il naso anche le sue crisi depressive. Mai avrei pensato di trovarmelo un giorno in un consiglio d'amministrazione. Fu nel 2010, per il mio secondo mandato come presidente del Vittoriale degli Italiani, e fu un'allegria. Annoiato dalle questioni di bilancio, del personale ecc., i suoi pochi interventi colpivano il problema come schiaffi: «Stitico», definì il logo che veniva proposto per i 150 anni della nascita di Gabriele d'Annunzio. E mai avrei pensato che un giorno avrei organizzato la sua tumulazione al Vittoriale. Il Mausoleo fu terminato soltanto nel 1963, 25 anni dopo la morte di d'Annunzio. La sua urna troneggia al centro, circondata da dieci compagni scelti da lui. Tre rimasero vuote. Una ha avuto le sue spoglie il 15 febbraio del 2020, è quella del senatore Riccardo Gigante, sindaco di Fiume per 26 anni, dal 1920 al 1945: non volle fuggire davanti all'arrivo dei partigiani titini, come tutti gli consigliavano, e scomparve. I suoi resti vennero rintracciati in una fossa comune nel 2018, e grazie alla prova del Dna abbiamo potuto dare loro la sepoltura che d'Annunzio e Gigante volevano. Un'altra urna rimarrà vuota per sempre, era destinata al pilota del volo su Vienna del 9 agosto 1918, Antonio Locatelli, caduto in Etiopia nel 1936 senza che il corpo venisse mai ritrovato. La terza è di un sottufficiale che morì al posto di d'Annunzio, il 26 dicembre 1920, durante il Natale di Sangue: la corazzata Andrea Doria sparò a cannone alla finestra dello studio del Comandante, sapendo che era lì, e uccise il sergente granatiere Antonio Gottardo, colpito alla schiena da una scheggia. Tre giorni prima sua moglie aveva avuto una bambina. Venne sepolto nel cimitero di Cosala, a Fiume, e ho dovuto scoprire che far viaggiare i morti è più difficile che far viaggiare i vivi, ma con l'aiuto dell'organizzazione dell'esercito detta familiarmente Onorcaduti, fra poco anche Gottardo avrà il suo posto. Sotto le urne c'è una serena cappella circolare, raccolta e aperta al vento, con undici nicchie. Mi è sembrato il luogo perfetto per onorare altri uomini e donne legati al Vittoriale e che lo desiderassero. La prima fu Ida Magli, la grande antropologa (genio, per me) vincitrice del Premio del Vittoriale nel 2015. Poi arrivarono le ceneri di Giuseppe Sarti, un altro pilota del volo su Vienna.

Il 19 giugno, in una semplice cerimonia privata che gli piacerebbe alzabandiera e silenzio suonato da un trombettiere accoglieremo anche Roberto, sull'attenti. Di certo ci avrebbe scritto un magnifico aforisma, peccato non riuscire a immaginarlo.

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