Don Robertson e i dolori del giovane Morris

La morte, l'amore, l'ipocrisia degli adulti visti con gli occhi (e il cuore) di un ragazzino

Don Robertson e i dolori del giovane Morris

Far credere a un bambino che morire è una colpa, anzi la peggiore delle colpe, cioè la colpa di aver «offeso Dio», non è soltanto disonesto (persino disonesto nei confronti di Dio), è anche crudele, perché significa far imboccare a quel bambino la strada sbagliata per affrontare la vita. A Morris Bird III, classe 1935, hanno raccontato quella tremenda frottola. Così, quando la sua nonna materna, la bellissima, simpaticissima, amorevolissima nonna Elizabeth, sta morendo per colpa (questa volta sì, la colpa è vera colpa) di un cancro allo stomaco, lui, tredicenne, pensa di lei: «Che accidenti aveva fatto? Perché doveva piangere? Non poteva trattenersi? Non le era rimasto un briciolo di forza?».

Oggi a 13 anni non si è più bambini, pur non essendo già uomini. Ma nell'estate del 1948, a Cleveland, Ohio, Morris Bird III era ancora un bambino, pur essendo già un uomo. Era diventato uomo meno di quattro anni prima, per la precisione il 20 ottobre 1944.

E a questo punto occorre aggiustare formalmente questo articolo per farlo diventare una recensione, e dire che Morris Bird III è un personaggio letterario; che il suo creatore si chiamava Don Robertson (1929-1999); che il libro in cui Morris Bird III era diventato uomo è Il più grande spettacolo del mondo dove lo abbiamo visto, fra le altre cose, soccorrere tante persone ustionate dalle esplosioni di alcuni serbatoi di gas, una tragedia realmente accaduta, in quel giorno, a Cleveland, e in cui molti morirono; che questo libro in cui lo ritroviamo ora è La somma e il totale di questo preciso momento (edito, per la prima volta in italiano, da Nutrimenti e tradotto da Nicola Manuppelli, come il precedente, pagg. 281, euro 19).

Ma ora basta con le formalità, perché la letteratura, come tutto il resto della vita, è prima di tutto sostanza. Fra l'altro a nonna Elizabeth, «la Numero Uno» di Morris Bird III, le formalità non sarebbero piaciute, perché «sua nonna era una persona davvero speciale. Sua nonna aveva sostanza. Sua nonna poteva recitare tutti i versi del Corvo di Edgar Allan Poe. Conosceva la differenza fra un coccodrillo e un alligatore. Preparava torte capovolte che non avevano il sapore di vecchie canottiere». No, non era certo con le formalità che, prima d'essere assalita dalla malattia, stava crescendo lui e la sua sorellina Sandra, colmando le lacune di un padre farfallone e tutto preso dal lavoro di speaker radiofonico e di una madre sciatta e micragnosa. Li stava crescendo dando loro l'esempio tutti i giorni, e instillando in loro «l'indulgenza» che occorre avere nei confronti di tutti gli esseri umani, compresi i più antipatici e stupidi, e formando le loro coscienze affinché capissero «il senso di Fare la Cosa Giusta». E adesso lei sta morendo, a 56 anni.

Morris Bird III ha già conosciuto la morte, come abbiamo detto, meno di quattro anni prima, quando gli picchiò molto vicino, portandosi via nel maledetto 20 ottobre 1944 il suo «amico del cuore» Stanley Chaloupka. E l'ha incontrata di nuovo da poco, il 22 aprile 1948, quando un altro suo «buon amico», Benny Goodman, manager in erba della loro squadretta di baseball, è stato investito e ucciso da un'automobile. Ma se quelle due morti violente gli hanno provocato dolore, sgomento, incredulità, la morte annunciata della nonna fa anche altro, lo fa proprio incazzare con il mondo intero.

Be' non proprio tutto il mondo... «L'anno era il 1948 e il mese era agosto», scrive il suo vero papà Don Robertson, e Morris Bird III ha la testa un po' confusa, perché oltre che con la morte e con l'acne, deve fare i conti con l'amore. «C'era questa ragazza di nome Julie Sutton, ed era molto carina, e voleva farla diventare la sua schiava, per davvero, e chiaramente non avrebbe potuto farlo se il suo viso - e specialmente la sua fronte - le avrebbero fatto venire in mente la superficie della luna». Insomma, tocca a lei, con la lucertola Czerny che tiene in una scatola, con la collezione di anatre di peluche e non di peluche, con la fissa di «giocare alla corsa delle gocce di pioggia», con l'amica immaginaria Claramae prendere, nel cuore di Morris Bird III, il posto fugacemente occupato, quattro anni prima, dalla vicina di casa Suzanne Wysocki, nel frattempo diventata una specie di aspirante suora.

Ma, a proposito dei Wysocki, un'altra persona con la quale Mirris Bird III non è incazzato è il signor Wysocki, il papà di Suzanne. Quello sì è un vero uomo, non gli zii di Morris Bird III che, con le relative sorelle-zie, insieme alla madre sciatta e micragnosa del nostro piccolo amico stanno già litigando, da «Falsi» quali sono, per mettere le mani sugli averi della nonna Elizabeth, conservati nel granaio a Paradise Falls... Il signor Wysocki è un vero uomo, quasi al livello del «buon vecchio Raymond Chandler», l'autore di Sangue spagnolo, la bibbia di Morris Bird III, non soltanto perché, pur essendo tifoso degli Yankees di New York, il 21 agosto lo porta al Cleveland Stadium a vedere la partita fra gli Indians, la sua squadra, e i White Sox di Chicago. È un vero uomo per ciò che gli dice dopo la partita. Non a proposito di baseball, ma di nonna Elizabeth.

Andate subito a leggervi quel dialogo, da pagina 202 a pagina 206.

Fatelo prima di iniziare a leggere il libro dalla prima pagina, così potrete capire prima ancora di sapere il motivo per cui Morris Bird III non è uno nato per andare «da qualche parte a dare calci a una lattina e accettare tutto così com'è», e il motivo per cui sa di dover fare il suo dovere nei confronti dell'amore dimenticandosi della morte. Visto che la vita non è altro che la somma e il totale di ogni preciso momento. E che è giusto che i «Falsi» non abbiano ciò che non meritano.

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