Ecco la Bolivia drogata di revolución

Esce il film sul Paese "ostaggio" del presidente ex coltivatore di coca. Ennesimo esempio di illusione sudamericana

Ecco la Bolivia drogata di revolución

Cinque anni in Bolivia, con la macchina da presa alle costole di un sogno infranto, raccontando illusioni e disillusioni. Un minuto de silencio di Ferdinando Vicentini Orgnani (titolo tratto dal discorso di Evo Morales alla sua prima elezione nel 2006) è il documentario, nelle sale dal 26 novembre, che racconta un classico del Sudamerica: l'utopia rivoluzionaria che si schianta sulla realtà e le compromissioni del potere. Un viaggio-inchiesta cominciato senza pregiudizi e, anzi, con curiosità per l'arrivo, sulla scena politica boliviana, di Evo Morales, il contadino al potere, la voce dei cocaleros , i coltivatori delle foglie di coca.

Vicentini Orgnani ha girato per il Paese raccogliendo contributi di persone comuni e personaggi influenti o grandi «ex» della politica boliviana, dal vicepresidente Álvaro García Linera (guida ideologica del governo Morales) agli ex presidenti Gonzalo Sánchez De Lozada e Carlos Mesa, al giornalista e anchorman Carlos Valverde, al leader del movimento indigeno Felipe Quispe. Nessun approccio diretto con il presidente boliviano «perché - spiega il regista milanese - per ben tre volte Morales ha assicurato la sua presenza, declinando all'ultimo momento». Vicentini Orgnani - autore del film Ilaria Alpi - Il più crudele dei giorni , sulla giornalista Rai uccisa in Somalia nel '94, e del recente Vinodentro - osserva e raccoglie il clima del Paese.

Nella parte conclusiva del film, la narrazione si concentra su quella che l'autore definisce «una trasformazione progressiva del regime in una dittatura soft, che soft lo è sempre meno, come dimostra la terza candidatura di Morales alle ultime elezioni, un fatto che vìola la Costituzione boliviana». Tra i casi più imbarazzanti per il governo boliviano, considerato un manifesto del tradimento del regime verso gli indigeni, quello sul Tipnis (Territorio Indígena y Parque Nacional Isiboro-Secure), il progetto di costruzione di un'autostrada che sventra il grande parco nazionale, devastando l'habitat della popolazione locale, quella che più aveva creduto alla promessa «popolare ed ecologista» del nuovo governo. Dopo innumerevoli boicottaggi, una marcia pacifica di oltre tremila indigeni è partita da Trinidad e ha raggiunto la capitale La Paz: due mesi a piedi per più di mille chilometri sotto gli occhi ammirati della gente e quelli infastiditi di Evo e dei suoi.

C'è poi il cambiamento attuato negli ultimi anni nella coltivazione della coca: «Evo - afferma Vicentini Orgnani - dimostra tolleranza per il narcotraffico. Oggi la Bolivia produce 28mila tonnellate di coca quando il consumo tradizionale \ sarebbe di 8mila. A chi serve tutta quella coca?». Domanda scomoda, che il documentario pone e che sono valse a Vicentini Orgnani il boicottaggio della proiezione qualche giorno fa a Casa America, istituzione governativa a Madrid: «Mi hanno chiamato dalla direzione di Casa America dicendomi che non trasmetteranno il film dopo insistenza del governo boliviano, per ragioni diplomatiche. La vecchia direzione mi aveva dato l'ok, pare che le cose siano cambiate».

Il governo boliviano sa che l'Europa è rimasta l'unica isola occidentale dove culturalmente il mito delle rivoluzioni latine resiste: «E pensare che in Bolivia il film è uscito - spiega il regista - presso esercenti controllati. Ma in Europa miti come Castro, Chávez e Evo non si devono toccare. Le ultime elezioni in Bolivia, nell'ottobre scorso, hanno dato la maggioranza ancora a Morales, ma le opposizioni sono state smantellate, ci sono cento oppositori incriminati in prigione. Una certa sinistra mi ha tacciato di revisionismo e di lesa maestà verso il mito Morales. Io penso che la verità sia più forte di tutto. La Bolivia si sta consegnando ai narcotrafficanti messicani e colombiani.

Quando realizzai il documentario Sessantotto , nel 2006, dalla stessa area mi piovvero critiche di revisionismo perché osai intervistare esponenti della destra romana come Stefano Delle Chiaie. A me interessava solo capire le ragioni che scatenarono l'estremismo del '68 più lungo d'occidente, quello italiano, che durò dieci anni».

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