Può riuscire ancora ad incantarci in maniera incondizionata e assoluta un viaggio disorientante come quello della letteratura fantastica? Nonostante sul tema siano state concepite le più incredibili analisi e, malgrado negli ultimi decenni, produrre arte abbia significato arenarsi nell'inganno desertificante dell'impegno civile relegando l'immaginazione creativa a divertissement, la risposta non può che essere affermativa. Non è infatti un caso se concetti come evasione, incantamento e fascino misterico siano penetrati con più intensa consistenza nelle pagine letterarie pubblicate dalla fine dell'Ottocento ad oggi, vale a dire proprio nel tempo del massimo dispiegamento del positivismo.
La letteratura dell'Immaginario, come scrive Adriano Monti-Buzzetti nella postfazione di Oltre il reale (Gog edizioni), il bel volume curato da Lorenzo Pennacchi, ha sempre fatto parte del nostro patrimonio.
Dall'epica classica mediterranea alle saghe norrene dell'Edda, dal ciclo arturiano alle sulfuree visioni dantesche e ai poemi rinascimentali di Ariosto o Tasso, le civiltà hanno sempre utilizzato una «realtà aumentata». Quel mondo, tuttavia, era già imbevuto di sacro e naturalmente dimorante nel mito. Solo in epoca postmoderna ed è qui lo scarto questa letteratura si è anche affermata come risposta emozionale alla intangibilità della cultura positivista e dei Lumi.
A sprigionare una tale scarica di creatività, che è pure intima e consapevole ribellione al dominio del pensiero razionale, sono stati gli scrittori magici (così come li definì Jacques Bergier) dell'ultimo secolo e mezzo di cui, questo volume, intercetta filoni e nomi più rappresentativi. E quindi, gli «incubi cosmici» di H. P. Lovecraft dove si concilia l'inconciliabile come mito e scienza, il fantasy eroico di Clark Ashton Smith, la visione ecologica e ambientale di Tolkien, la mitopoiesi dell'orrore di Arthur Machen («dominata dalla scomparsa delle individualità, dal crollo dei confini e delle forme») fino alla dimensione onirica, agli elementi alchemici e al carattere occulto dell'opera di Gustav Meyrink.
Con loro siamo infatti entrati in una fase nuova, di sub-creazione per dirla con Tolkien, perché il
fantastico contemporaneo è riflesso di un sacro che non vive più tra noi, e che, diversamente dall'epica classica, si pone «il compito di irrompere nella realtà per fondarla, per ricostruirla dalle sue stesse fondamenta».
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