Ha sbaragliato tutti, conquistando il titolo di MasterChef Italia. Un'edizione, la decima, decisamente combattuta, dove alla fine tutti e tre i finalisti avrebbero potuto vincere lo show di Sky. Ma a primeggiare è stato lui, Francesco Aquila, per tutti solo Aquila, trentaquattro anni, di Altamura (Bari), maitre di sala a Bellaria Igea Marina, in Romagna. Gli abbiamo fatto qualche domanda per cercare di capire meglio il personaggio, da dove viene, cosa l'ha portato al successo e dove vorrebbe arrivare.
Cè un piatto, tra i tanti che hai preparato a MasterChef, che più ti rappresenta?
Sì, è "Tavola pronta", che ho presentato come antipasto nel menu della finale. Un piatto preparato con materie prime semplicissime: pomodoro, cetriolo, funghi cardoncelli, stracciatella, borragine, pane, peperone crusco, origano. Il costo di realizzazione è molto basso. L'idea che è alla base è questa: la cucina è per tutti e di tutti, conoscendo le tecniche giuste si possono preparare degli ottimi piatti anche con ingredienti semplici.
Lo avevi pensato fin dall'inizio di MasterChef?
No, l'ho pensato quando siamo rimasti in cinque concorrenti e ci hanno chiesto di preparare una lista di piatti per la finale. Subito mi è venuta questa idea, perché mi ritengo una persona semplice e desideravo cercare di rappresentare questa cosa, usando materie prime terra-terra. Credo sia piaciuta l'idea, che spesso è proprio ciò che fa la differenza.
Quando hai deciso di partecipare al programma?
Ci avevo già provato nel 2015, presentando un piatto portato da casa. Mi dissero: "Le faremo sapere". Mai più sentiti. Ci ero rimasto malissimo. L'anno scorso, ad aprile, mentre stavo facendo dei lavori in albergo, durante una pausa su Internet ho letto che stavano facendo il casting per la nuova edizione. Così gli ho mandato la mia candidatura senza neanche crederci troppo. Essendo molto impegnato col lavoro e con mia figlia, non sono riuscito neanche a spedire la videoricetta completa. Mi hanno richiamato chiedendomi di farlo e, dopo 2-3 volte che ci siamo sentiti, ho capito che la cosa stava prendendo piede, che c'era una possibilità.
Ricordi la prima cosa che hai cucinato da solo, magari quando eri piccolo?
Avevo sette anni, ricordo che cucinai un piatto di pasta in bianco, con olio e parmigiano. La pasta era molto dura ma i miei genitori quando arrivarono a casa, dal lavoro, furono contenti di trovare il piatto pronto. Apprezzarono il gesto. È quello che fa la differenza.
Alla prova per essere ammesso ti sei presentato coi tuoi genitori...
Sì, sono molto legato a loro, come ho avuto modo di spiegare in alcune puntate. Quindi mi ha fatto molto piacere che fossero lì con me in quel momento per me importante.
Chi ti ha trasmesso la passione per i fornelli?
Cucinare per me è sempre stato un momento bello, di condivisione. Oltre alla mamma, che lo faceva per noi in famiglia, ricordo anche le enormi tavolate in Puglia, i gusti strani, diversi da quelli a cui ero abituato, con mille preparazioni diverse. L'amore per la cucina, quindi, posso dire che me l'ha trasmesso la mia famiglia e la mia terra.
Il tuo lavoro di maitre di sala pensi ti abbia aiutato a vincere MasterChef?
Secondo me sì. In una sala ci vuole un certo clima, armonia, saper nascondere o sopire gli stati d'animo. È a livello psicologico che si gioca tutto. A volte ero agitato durante le prove di MasterChef, ma il self control mi ha aiutato moltissimo. Se non sei forte di "capoccia" puoi andare in difficoltà e, anche se bravo e preparato, non vai lontano.
C'è una battuta, una frase o una critica da parte dei giudici che pensi ti abbia spronato nel tuo cammino?
Le parole di Cannavacciuolo quando mi faceva ricordare mia figlia: "Sii più libero, tranquillo, stai facendo una cosa bella". Era un bel sonsiglio, voleva ricordarmi di non essere troppo agitato e controllato, di lasciarmi andare. Credo che il 70% del risultato dipenda dalla testa. Se vai in panico o ti agiti troppo è finita. Servono testa e umiltà. Oggi mi chiamano chef ma io rispondo subito che non lo sono, la strada è molto lunga e ci vuole tanto lavoro per diventarlo.
Se non sbaglio non hai vinto molte prove. Questo paradossalmente può averti aiutato?
Sì, perché non vincere ogni volta mi metteva più grinta e voglia di rivalsa. Ne avessi vinte di più, magari all'inizio, forse non sarei arrivato in fondo.
Vorresti continuare con questa tua passione per la cucina, immagino. Come ti vedi tra dieci anni?
Ho tante idee e richieste, dovrò valutare bene cosa fare. Questo per me è solo l'inizio di un percorso. Tra dieci anni come mi vedo? In una bella posizione, che mi faccia sentire orgoglioso e mi permetta di togliere la mia famiglia dalla precarietà.
Se non sbaglio lavorano nella ristorazione?
Sì, ed è un settore molto legato alla stagionalità. Poi, in un momento come questo, causa Covid, non ne parliamo.
Se ti chiedessi qual è il tuo sogno?
Poter avere più locali, un franchising. È importante sognare, ti permette di lavorare con la testa e la schiena dritta. Certamente servono tanti sacrifici, passione e buona volontà.
Tra le prove esterne ce n'è una che ti è rimasta nel cuore?
Enrico Bartolini al Mudec, tre stelle Michelin. Quando ho scoperto che saremmo andati da lui per fare una prova ci sono rimasto come un fesso, mi scuso per il termine. È l'apice della cucina. Eppure mi sono trovato a mio agio, come se fossi a casa. All'inizio ovviamente ero un po' agitato ma dopo poco ho avuto la sensazione di essere uno di loro, della brigata. Certo, noi concorrenti sentivamo il fiato sul collo, soprattutto per i tempi da rispettare e le preparazioni da fare con estrema precisione, ma era normale questo stress. Sono arrivato secondo e devo ammettere che ci sono rimasto un po' male. Credo si sia visto bene in trasmissione. Il mio piatto, però, era uno dei più difficili (filetto di vacca podolica in osso con salsa bernese di zucca, ndr).
Se fossi stato uno spettatore per chi avresti tifato?
Eduard, una persona molto di cuore. Credo che avrei tifato per lui. E per Antonio, bravissimo a livello tecnico. Tra noi due si è creata una sana competizione, ci punzecchiavamo spesso, ma per gioco. Dall'esterno Antonio forse può apparire una persona fredda, ma nella realtà è diverso, simpaticissimo. Tra le donne avrei sostenuto Daiana: è uscita molto presto, sentiva troppo la pressione, un po' come Eduard.
Lo chef con cui hai legato di più?
Cannavacciuolo, per il discorso che facevo prima, il legame con la famiglia, con la terra e le tradizioni. Ma direi anche con Barbieri: c'era molta stima e rispetto tra di noi, a volte ci guardavamo negli occhi e bastava quello per capirsi subito.
Con i tuoi ex compagni di avventura?
Con Eduard e Daiana, ma anche con Monir, un grandissimo personaggio, un vero e proprio "survivor": lo metti in una giungla da solo e lui sopravvive senza problemi. Fortissimo.
Zio bricco abbiamo finito! Scherzi a parte, con questa esclamazione hai fatto sorridere tutti...
È diventata una sorta di cavallo di battaglia, per manifestare sorpresa, ammirazione ma anche per evitare di dire parole più brutte, che a volte possono scappare.
Se non sbaglio hai chiamato anche un piatto zio bricco...
Sì, delle costine di agnello. L'ho chiamato così perché l'ho cucinato alla fine di una prova molto dura, che prevedeva diversi step. Non riuscivo mai a chiudere positivamente e a salire in balconata (andare avanti con la gara, ndr).
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